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I poliedri regolari, ovvero i solidi
di Platone
Il fatto che i
poliedri regolari
sono solamente cinque affascinò tanti pensatori; tra questi il filosofo
Platone
che per la geometria, e più in generale per la matematica, aveva una
particolare venerazione. Platone descrisse le sue idee sui solidi
regolari nel
Timeo.
Si servì di queste figure dello spazio ideale della geometria per
rappresentare l’essenza degli
elementi fondamentali
(o almeno allora ritenuti tali) dello spazio fisico: il
fuoco,
l’acqua,
la
terra,
l’aria.
Egli intravide nel
tetraedro
la forma e il germe generatore delle
particelle del fuoco,
nell’ottaedro
l’essenza delle
particelle dell’aria,
nell’icosaedro
quello delle
particelle dell’acqua,
mentre identificò nell’esaedro
la forma e il germe dei
costituenti ultimi della terra.
Restava un quinto poliedro regolare, il
dodecaedro
e, dice Platone, “Dio
se ne giovò per decorare l’universo”.
Sebbene Platone non abbia
dato personalmente alcun notevole contributo specifico alla matematica
dal punto di vista strettamente tecnico, fu nondimeno il centro
dell’attività matematica di quel tempo e guidò ed ispirò il suo
sviluppo. Sulla porta d’ingresso della sua scuola era scritto il motto:
“Nessuno
entri che non sappia di matematica”.
La persona che convertì Platone alla mentalità matematica fu l’amico
Archita
che incontrò in Sicilia nel 388 a.C.
Ai poliedri regolari si è
spesso dato il nome di “corpi
cosmici” o
“solidi
platonici”
per il modo in cui Platone nel
Timeo
se ne servì per la spiegazione scientifica dei fenomeni. Sebbene questo
dialogo fornisca la prima testimonianza precisa circa l’associazione dei
quattro elementi con i solidi regolari, può darsi che gran parte di
questa concezione altamente speculativa risalda ai pitagorici. Nel
Timeo
come in altre opere si coglie in Platone una mistica del numero affine a
quella germinata nella scuola pitagorica. Ma più in generale ebbe
influenza sugli sviluppi della fisica in epoca moderna la concezione, di
origine pitagorico-platonica, che leggi matematiche sottostanno al
comportamento della natura, concezione totalmente estranea alla
tradizione aristotelica.
E’ abbastanza verosimile
che a studiare più a fondo di ogni altro matematico i cinque solidi
regolari sia stato
Teeteto,
figlio di uno dei più ricchi signori dell’Attica. Con tutta probabilità
bisogna attribuire a
Teeteto
il merito di avere calcolato i rapporti tra i lati dei solidi regolari
ed i raggio delle sfere circoscritte, discussi nei celebri Elementi di
Euclide.
Gli scritti di
Platone
e ancor più quelli di
Euclide,
testimoniano che agli antichi erano noti i poliedri
regolari:
avevano giustamente intuito che questi solidi sono solamente cinque.
Numerosi studi sui
poliedri regolari vennero in seguito effettuati nel Rinascimento
italiano da
Leonardo da Vinci
(1459-1519),
Piero della Francesca
(1420-1492) e
Luca Pacioli
(1445-1514) e, più tardi, dall’astronomo tedesco
Keplero
(1 571-1630), che se ne servì per scoprire l’esistenza di rapporti aurei
in grandezze aventi relazioni con le orbite dei corpi celesti.
Nel 1800, l’Accademia
delle Scienze di Francia pose il quesito circa l’esistenza o meno di
altri poliedri regolari oltre ai cinque noti come solidi platonici. Fu
il giovane
Augustin Louis Cauchy
(1789-1857), destinato o diventare il più grande matematico francese
dell’epoca moderna, a rispondere al quesito dimostrando per primo che di
solidi regolari ne esistono veramente soltanto cinque. |
Euclide ed Archimede
La descrizione dei solidi
data da
Platone
esercitò una grande influenza sul pensiero e sull’attività scientifica e
filosofica delle generazioni successive, aprendo la strada ad un
susseguirsi di studi finalizzati all’individuazione delle proprietà
geometriche delle cinque figure poliedriche.
Euclide
(fine IV, inizi III secolo a.C.), nel XIII libro degli
Elementi,
tratta dei poliedri: si propone di inscrivere ciascun poliedro in una
sfera di dato diametro e di determinare il rapporto tra lo spigolo del
poliedro inscritto ed il diametro della sfera circoscritta. In tal modo
le misure degli spigoli diventano tra loro confrontabili. Nell’ultimo
capitolo degli
Elementi,
Euclide dimostra che non ci possono essere altri poliedri regolare al di
fuori dei cinque conosciuti. Anche
Archimede
(287-212 a.C.)
si occupa di poliedri, ma non solo di quelli strettamente regolari: egli
richiede la regolarità delle facce, ma non pretende che siano tutte
dello stesso tipo. Nascono così i primi poliedri semiregolari o
archimedei e anche per questi c’è un numero limitato di possibilità di
costruzione: ce ne sono di
tipi.
Verso il III secolo d.C.
c’è una rinascita della matematica con gli studi di
Pappo
e di
Diofanto.
Pappo
affronta il problema dei poliedri inscritti in una sfera in modo nuovo,
attraverso la ricerca delle sezioni circolari. Alcuni autori suoi
contemporanei scrivono in XV libro degli
Elementi
in cui compare il calcolo del numero dei vertici, degli spigoli e delle
facce dei cinque poliedri regolari. |
Rinascimento
Nel
Rinascimento
la ripresa dell’interesse e degli studi della geometria è dovuta
essenzialmente agli artisti, che fanno di questa disciplina lo strumento
indispensabile per la costruzione dell’opera d’arte. L’arte,
infatti, si avvicina al metodo scientifico ed usa come strumenti di
osservazione la geometria, l’ottica, la teoria della luce e dei colori,
l’anatomia e la fisiologia: in questo periodo gli “artisti” sono anche
matematici e scienziati. A titolo di esempio basti fare riferimento a
Leonardo da Vinci
().
Leon battista Alberti
()
ha concentrato la sua attenzione su come rappresentare nel piano oggetti
tridimensionali sotto diversi punti di vista. Nasce la teoria della
prospettiva
ed il problema di quali siano le proprietà geometriche della figura
reale che si
conservano,
passando alla sua immagine mediante proiezione.
Piero della Francesca
()
nel trattato “De quinque corporibus regularibus” sostiene che il mondo è
pieno di corpi complessi o senza una particolare forma, ma ognuno di
essi può essere ricondotto ai cinque poliedri regolari che rappresentano
l’eterna perfezione.
Piero della Francesca
intende rivolgere il suo trattato non ai matematici ma agli artisti e dà
un taglio applicativo più che dimostrativo. In ogni caso questo non
toglie che a distanza di secoli i cinque solidi platonici vengano
ripresi come modello di perfezione.
Fra Luca
Pacioli
()
nella “Divina
Proporzione”
traduce in volgare il testo di
Piero della
Francesca,
inserendo le tavole raffiguranti i cinque poliedri dipinte da Leonardo
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Keplero
Keplero (1571-1630),
noto per il suo notevole contributo all’astronomia, diede un non meno
fondamentale contributo sia alla teoria della tassellazione del piano,
sia allo sviluppo della teoria dei
solidi platonici.
Questi due ruoli di
Keplero
si fondono nel suo tentativo di attribuire le regolarità del sistema
planetario alle proprietà dei
solidi platonici.
Gli astronomi che lo avevano preceduto si accontentavano di prendere
nota delle posizioni dei pianeti, mentre Keplero aspira ad una teoria
che spieghi i dati dell’osservazione. La sua risposta alla questione del
perché i pianeti fossero 6 è semplice: 5 sono i poliedri regolari, ma,
presi come limiti tridimensionali concentrici, danno origine a 6 spazi,
contando anche l’estremo limite sferico che corrisponde al cielo delle
stelle fisse. Il suo modello risolve così anche il problema delle
dimensioni delle orbite. Nell’opera giovanile “Mysterium
cosmographicum”
Keplero
afferma che
Dio
nel creare l’universo
tenne presente i
5 poliedri regolari.
Egli fissa, in accordo con le dimensioni di tali poliedri, il numero dei
cieli, le loro proporzioni e le relazioni tra i loro movimenti.
“….La
sfera della Terra
è la misura di tutte le altre orbite. Le si circoscriva un
dodecaedro.
La sfera che lo circonda sarà quella di
Marte.
La sfera che lo circonda sarà quella di
Giove.
Si circoscriva un
cubo
a
Giove.
La sfera che lo circonda sarà quella di
Saturno.
Ora si inscriva un
icosaedro
nell’orbita della
Terra.
La sfera inscritta sarà quella di
Venere.
Si inscriva un
ottaedro
dentro Venere. La sfera inscritta sarà quella di
Mercurio.
Ecco la base del numero dei pianeti.”
Nel libro
Keplero
illustra le presunte relazioni tra i poliedri platonici ed i pianeti,
attribuendole ad ipotetiche affinità astrologiche e metafisiche. Così la
posizione della
Terra
sarebbe stata scelta per fungere da spartiacque tra solidi con un
equilibrio stabile
(cubo, tetraedro, dodecaedro) e quelli
tendenzialmente fluttuanti
(ottaedro e icosaedro). Le distanze dei pianeti ricavabili dal modello
corrispondevano abbastanza bene ai dati disponibili per alcuni di essi,
mentre per altri la corrispondenza era meno soddisfacente. Keplero era
così convinto della validità del suoi modello che attribuì queste
discrepanze alla scarsa precisione nelle misurazioni delle orbite.
Si dovette
attendere la scoperta di altri 2 pianeti, Urano nel 1781
e Nettuno nel 1846
per
abbandonare completamente l’idea di Keplero. Il modello conteneva gli
ingredienti essenziali del “metodo
scientifico”
che ha portato all’evoluzione della scienza: il metodo si basava sul
patrimonio dei dati astronomici acquisiti che potevano essere confutati
e migliorati da ulteriori e più precise osservazioni.
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Cartesio ed Eulero
Verso la metà del secolo
scorso è stata ritrovata una copia del trattato “De solidorum elementis”
di Cartesio (1596-1650)
nel quale si formulano diverse considerazioni che permettono di
esprimere una relazione tra vertici, spigoli e facce, ma l’autore non si
era reso conto dell’importante risultato che avrebbe potuto raggiungere
mettendo in relazione alcune affermazioni che aveva dimostrato. Solo un
secolo dopo,
Eulero
(),
seguendo un’altra via, scopre e dimostra la relazione che porta il suo
nome:
,
in ogni poliedro regolare la somma dei vertici e delle facce è uguale al
numero degli spigoli aumentato di 2. L’intenzione di Eulero è di trovare
una classificazione soddisfacente per le figure dello spazio in analogia
con quelle del piano, ma constatato che un poliedro non può essere
classificato solo in base al numero delle facce, ricorre anche agli
spigoli ed ai vertici. Scopre così la relazione e ne fornisce
un’originale dimostrazione.
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Geometria e
realtà
I 465 teoremi
degli Elementi di Euclide iniziano con la costruzione del triangolo
equilatero e terminano con la dimostrazione che esistono soltanto 5
solidi regolari. Con tutta probabilità è la scoperta del
piritoedro, un cristallo
di pirite a 12 facce pentagonali quasi regolari, diffuso nella Magna
Grecia, che convinse i Pitagorici ad ammettere l'esistenza del
dodecaedro, solido avente
come facce pentagoni regolari. Una volta scoperto, questo solido fu
adottato da Platone nel
"Timeo" per descrivere la forma dell'universo. E gli artisti ci si
sbizzarrirono. Nel 1509 Leonardo
lo illustrò per il trattato su "La divina proporzione" di fra
Luca Pacioli. Nel 1527 il
Parmigianino lo fece
indicare al suo Diogene, nell'omonimo ritratto del filosofo. Nel 1955 il
pittore Salvador Dalì lo
adottò come struttura della stanza nella quale ambientò "L'ultima cena".
Quanto alla Natura, non aveva dovuto attendere la scoperta dei
Pitagorici per usare a suo piacimento di dodecaedro. Infatti, ci sono
molecole costituite da 20 atomi di carbonio, disposti esattamente come i
vertici di un dodecaedro. Ci sono minuscoli protozoi presenti nel
plancton marino, chiamati
radiolari, che hanno esattamente la forma di un dodecaedro. La
geometria trae origine dalla osservazione della realtà che ci circonda e
ci consente di indagarla in ogni suo particolare.
Diogene, opera
pel pittore "Il Parmigianino"
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