EVARISTO GALOIS PITAGORA |
Pitagora fra leggenda e realtàRicerca effettuata dagli alunni della III B coordinati dai docenti Salvatore Amico ed Antonio Mastantuoni Premessa
Il nome di Pitagora, nell’immaginario collettivo,è legato alla matematica. Con questa ricerca su un personaggio così imponente abbiamo voluto mettere in risalto, accanto alla originalità del suo pensiero matematico, altri aspetti: l’esoterismo nel campo religioso, la sua autonomia in campo filosofico, la sua acutezza nella formulazione della prima legge fisica, il suo conservatorismo nella guida politica di alcune città della Magna Grecia. In questo articolo noi scriveremo di Pitagora politico, esoterico, filosofo, fisico e matematico. Sono aspetti della vita del grande pensatore greco che lo hanno reso immortale nel campo della cultura mondiale. 1. Biografia di Pitagora
Pitagora è il secondo matematico greco che si incontra dopo Talete e come Talete è una figura avvolta nella leggenda: le notizie che si hanno su di lui e sulle sue scoperte sono basate sulla tradizione in quanto non ci è pervenuto nessun documento storico. Si sa che nacque a Samo intorno alla prima metà del VI secolo a.C. . Il padre Mnesarco era incisore di sigilli e la madre Partenide era considerata la più bella donna di Samo. Il nome Pitagora significa "predetto dalla Pizia", poiché alla madre incinta fu predetto dalla Pizia, la profetessa dell'oracolo di Delfi, che avrebbe partorito un "figlio più bello e sapiente di chiunque fosse mai esistito, destinato a recare in ogni aspetto della vita grandissimo giovamento all'intero genere umano". Ebbe come maestri i più rinomati sapienti della Grecia, tra i quali Talete e Anassimandro. Talete, uno dei sette saggi dell’Antichità, dopo avere messo a disposizione di Pitagora tutto il suo immenso sapere, lo invitò a recarsi in Egitto dove avrebbe potuto incontrare altri illustri uomini di cultura e gli oracoli di Menfi e Diospoli. Ebbe così inizio la lunga serie dei suoi viaggi che lo portarono a contatto con le maggiori civiltà e culture del suo tempo. Durante il suo lungo peregrinare Pitagora ampliò le sue conoscenze attingendo al sapere degli Ebrei, Fenici, Egiziani, Caldei, Persiani, Indiani. Dagli Ebrei apprese l’arte di interpretare i sogni, dai Fenici la scienza dei numeri, dagli Egiziani il vantaggio dell’uso dei simboli e l’eleganza della geometria. I dodici anni trascorsi in Babilonia gli consentirono di diventare esperto di astrologia e di astronomia. Ebbe anche l’accortezza di utilizzare tutte le osservazioni astronomiche accumulate nel corso di molti secoli dai sacerdoti caldei. Molto utile può essere considerato l’incontro e la collaborazione con Zoroastro. Ne scaturì un suo perfezionamento in medicina, musica ed un radicamento nelle pratiche religiose. In India particolarmente proficua fu la frequentazione dei bramani che si distinguevano per saggezza e santità. In seguito Pitagora ne avrebbe fatto un modello di vita per se stesso e per i suoi allievi. Dopo tutti questi viaggi, ricco di tutto il sapere dei popoli, iniziato a tutte le forme di misteri, conoscitore profondo di uomini, istituzioni, usi e costumi, fece finalmente ritorno nell'isola di Samo. Tornato a Samo, e trovata la sua patria sotto il governo del tiranno Policrate, si trasferì nella colonia di Crotone, nella Magna Grecia, e vi fondò la sua comunità, diretta ad assicurare ai suoi membri il raggiungimento di scopi essenzialmente etici e religiosi.
Perché Pitagora scelse proprio Crotone? Sappiamo che l’antica Kroton era rinomata per le sue bellissime donne e per le vittorie conseguite alle Olimpiadi, ma anche per il clima mite e, soprattutto, per la famosa scuola medica di Alcmeone. A condurre Pitagora verso Crotone fu, tuttavia, la sua vocazione filosofico-politica: la città gli appariva come un luogo fertile per i suoi insegnamenti e soprattutto aperto ad una formazione socio-politica non esente da una cura del corpo e dello spirito. A Crotone rimase per venti anni, incidendo molto sulla vita e sui costumi di questa città, affascinando con i suoi discorsi i giovani, gli anziani e le donne. In questa bella città della Magna Grecia Pitagora fondò una scuola, frequentata dagli aristocratici, con base matematica e filosofica, nella quale venivano studiate le discipline del <<quadrivio>>, cioè la musica, l’aritmetica, l’astronomia e la geometria. Gli allievi erano selezionati dopo un lungo tirocinio e divisi in due categorie: gli <<acusmatici>> o ascoltatori ed i matematici, i quali venivano a conoscenza degli insegnamenti più elevati e dei segreti più profondi di questa società il cui simbolo era una stella a 5 punte, il pentagramma. Nella scuola pitagorica, scienza e filosofia, musica e religione si fondevano in una mistica contemplazione dell’universo. Secondo Proclo, Pitagora trasformò lo studio della matematica in una vera scienza. Grazie al suo genio i numeri non furono più usati per contare e calcolare, ma furono apprezzati ed utilizzati per la costruzione di una nuova scienza in grado di spiegare la realtà che ci circonda. Infatti Pitagora intuì che i numeri esistono indipendentemente dal mondo sensibile nel quale viviamo. Alla scuola pitagorica si deve la distinzione fra numeri pari e numeri dispari, la definizione dei numeri perfetti e dei numeri amicabili. Nel campo della geometria a Pitagora ed alla sua scuola viene attribuito il teorema che porta il suo nome, la risoluzione geometrica delle equazioni di secondo grado, la scoperta delle grandezze incommensurabili, i fondamenti della teoria delle proporzioni e delle similitudini.
Pitagora ed i suoi discepoli si impadronirono del potere instaurando un regime conservatore ed aristocratico, con una politica estera intollerante ed espansiva, quale si manifestò con la distruzione della ricca e potente Sibari. Ma gli ultimi tempi della sua permanenza a Crotone furono amareggiati dalla crescente ostilità nei confronti della sua scuola; Pitagora si allontanò allora da Crotone e si trasferì a Metaponto dove sarebbe morto intorno al 497 a.C.. 2. Pitagora Politico
Pitagora, fuggito da Samo posta sotto la tirannide di Policrate, giunse a Crotone quando aveva raggiunto la piena maturità (seconda metà del VI sec. a.C.). Il suo primo pensiero fu di ammogliarsi. La tradizione vuole che abbia sposato Teano, dalla quale ebbe un figlio, Telauge. Da allora l’effetto prodigioso esercitato dalla parola di Pitagora si diffuse, in pochi anni, in tutta la Magna Grecia. Quando Pitagora vi giunse, la città stava pagando le conseguenze di una sconfitta militare inferta dall’esercito di Locri. Sfruttando la sua fama, il Maestro intraprese una profonda opera di riforme politiche e religiose. Il filosofo risvegliò nei Crotoniati il sentimento di venerazione degli dei, quello della virtù e del patriottismo. Si impegnò ad allontanare la gioventù dalle abitudini di dissipazione e di piacere e le insegnò il rispetto dei propri genitori. “Esortava i giovani a educarsi, invitandoli a considerare quanto fosse assurdo reputare il pensiero la cosa più importante e valersene per esprimere un giudizio su tutto il resto, ma al tempo stesso non aver speso né tempo né fatica per esercitarlo” (Giamblico). Attirò le simpatia dell’assemblea degli anziani. Parlò alle donne e restituì loro la dignità da tempo negata. Cambiò l’aspetto della città. Fece erigere un tempio alle Muse, allo scopo di mantenere la pace e la stabilità. Fermò le guerre intestine e le controversie tra le città. In poco tempo il quarantenne Pitagora ottenne una vera e propria “dittatura morale” su Crotone, che conservò per ben quindici anni. Diogene Laerzio definisce il governo fondato da Pitagora “quasi aristocratico”, volendo dire che “il governo della comunità è esercitato da quelli che per studi, per saggezza, per esercizio, per disciplina, per ideali di vita, sono i più degni di giudicare” (Pugliese Carratelli). Portò ordine e giustizia, diffondendo il motto pitagorico “l’anarchia è il peggiore di tutti i mali”. L’equilibrio delle forze rappresentava, infatti, un principio valido per la vita di una comunità come per la vita del cosmo, per gli accordi musicali come per il temperamento dell’anima. Non a caso, il medico Alcmeone usava il termine “monarchia” per indicare la patologia dell’anima, la prevalenza di una parte dell’organismo sull’altra che rompe l’equilibrio psicofisico. L’armonia tra le parti costituirà, com’è noto, un principio cardine della filosofia politica di Platone. L’educazione politica di Pitagora influì anche sulla formazione dei legislatori Zaleuco di Locri Epizefiri e Caronda di Catania. Nel 510 a.C. vi fu però un grave scontro tra le città di Crotone e di Sibari. Secondo le testimonianze, pare si verificò una disputa circa la possibilità di dare asilo ad alcuni facoltosi cittadini banditi da Sibari. Pitagora fu favorevole ad accoglierli, convincendo i Crotoniati ad ospitarli. Da tale affronto scaturì una vera e propria guerra, che terminò con la vittoria dei Crotoniati, che sotto la guida di Milone uccisero gran parte dei Sibariti e saccheggiarono la città. I motivi che spinsero Pitagora ad acconsentire all’asilo di quegli uomini non sono ancora del tutto chiari. Senza dubbio Pitagora accettò per obbedire alla sua dottrina che l’obbligava a tutelare i supplici, ma, secondo Giamblico, egli avrebbe notato tra gli ambasciatori sibariti, inviati dal tiranno Telys, uno degli assassini di alcuni suoi discepoli e per questo motivo avrebbe deciso di affrontare la guerra. Si ipotizza anche che furono gli stessi Sibariti, appartenenti ad una fazione oligarchica che non sopportava la tirannia di Telys, a favorire, nonostante la superiorità numerica dell’esercito di Sibari rispetto a quello di Crotone, la vittoria di quest’ultima. Una leggenda, giunta a noi grazie ad Ateneo, narra che la cavalleria sibarita fosse guidata a suon di flauto. Avendo scoperto ciò, i Crotoniati, durante la battaglia del Traente, schierarono dei flautisti. Quando questi cominciarono a suonare, i cavalli presero a ballare e, con i loro cavalieri, si schierarono dalla parte dei Crotoniati. Conquistata Sibari, nacquero nuove discussioni per la divisione dei terreni ottenuti. Da una parte c’erano i Pitagorici che, influenzati forse dal loro stile di vita “comunitario”, erano intenzionati a lasciare indivise le terre; dall’altra, alcuni esponenti politici della città intendevano dividerle in lotti da distribuire fra i cittadini. Gli esponenti del gruppo pitagorico ebbero inizialmente la meglio, ma le polemiche e i contrasti politici interni alla città non si placarono. Tra la fine del VI e il principio del V secolo a.C., probabilmente anche in seguito ad una grave crisi economica di Crotone, l’esarca Cilone, escluso dalla congregazione pitagorica, fece in modo da favorire l’approvazione della spartizione delle terre sibarite e farsi promotore di una sommossa contro i Pitagorici. “Presero la testa della sedizione -racconta Giamblico- proprio coloro che avevano i più stretti rapporti di parentela e di familiarità con i Pitagorici. E la ragione era che costoro, esattamente come la gente comune, erano irritati dal comportamento dei Pitagorici in pressoché ogni suo aspetto, nella misura in cui questo differiva da quello degli altri (…). Essi arrivavano ad ammettere la superiorità di uno straniero quale Pitagora era, ma si sdegnavano del fatto che dei concittadini, nativi del luogo, come loro, fossero manifestamente fatti oggetto di preferenza”. Fu così che durante una riunione di Pitagorici nella casa di Milone, l’abitazione fu data alle fiamme e i più importanti membri della scuola trovarono la morte. I Pitagorici, offesi dall’indifferenza mostrata dai cittadini nei confronti degli assassini avvenuti e perduti, ormai, i loro più eminenti personaggi politici, non si occuparono più degli affari pubblici, contribuendo, così, con la loro scomparsa alla decadenza politica di Crotone e, probabilmente, dell’intera Magna Grecia. Pitagora, che si era intanto rifugiato a Metaponto, morì agli inizi del V sec. a.C.. 3. Pitagora: l’Esoterico e il Filosofo
Figura leggendaria della filosofia greca, matematico e sacerdote, politico e taumaturgo, era in grado di ascoltare la “musica delle sfere”, ricordava ogni avvenimento della sua vita e di tutte quelle trasformazioni che la sua anima aveva subito trasferendosi da corpo a corpo. Credeva, infatti, nella dottrina della metempsicosi e si dice di lui che avesse un femore d’oro e il dono dell’ubiquità. Pare che fosse stato chiamato Pitagora “perché eguagliava l’oracolo pitico nell’annunziare la verità”. Nella testimonianza di Diogene Laerzio su Pitagora troviamo una delle prime apparizioni del termine “filosofo”: “Diceva che la vita è simile ad una folla riunita per una festa: gli uni vanno per lottare e vincere, altri per affari, ma i migliori vi vanno come spettatori, così come nella vita, diceva, alcuni nascono con anime da schiavi, bramosi di gloria e di guadagni, ma altri, i filosofi, desiderosi solo della verità”. Secondo Nietzsche, il figlio di Mnesarco e nativo di Samo “non era un filosofo, ma qualcos’altro”: Pitagora ha prodotto l’immagine di un tipo di vita filosofica, esercitando un notevole influsso non sulla filosofia, ma sui filosofi, come Empedocle e Parmenide. Eraclito ne parla come di un semplice erudito, il cui pensiero non avrebbe nulla di originale, ma sarebbe frutto di una “tecnica fraudolenta e superstiziosa”: “il saper molto non insegna a pensare rettamente (…). Ha atteso agli studi più di ogni altro uomo e raccogliendo questi scritti ne ha fatto la propria sapienza, il saper molto, cattiva arte”. Al di là dei rancori di Eraclito, ben oltre l’atteggiamento satirico offerto dalla commedia attica nei suoi confronti, è certo che la figura di Pitagora fu, nella vita come dopo la sua morte, oggetto di dispute e di contrasti. Fondò a Crotone una scuola, aperta anche alle donne: si dice che tutti i giovani volevano essere suoi discepoli, che non erano meno di seicento quelli che andavano da lui per ascoltare il suo insegnamento e tutti ne uscivano entusiasti, estasiati dalla grande esperienza che avevano fatto. Eppure in questa scuola i discepoli venivano divisi in “acusmatici”, a cui era imposto il silenzio, non potendo fare domande ma solo ascoltare, e “matematici”, in grado di porre domande e sviluppare opinioni personali. “Per cinque anni -ci racconta Diogene Laerzio- dovevano tacere e solo ascoltare gli insegnamenti, senza venir ammessi al cospetto di Pitagora prima di esser stati vagliati. Ma da quel momento appartenevano alla casa e venivano ammessi alla sua presenza”. Secondo Giamblico, gli acusmatici ritenevano che i matematici fossero discepoli di Pitagora, ma questi non consideravano tali gli acusmatici e sostenevano che la loro dottrina filosofica non era quella di Pitagora, ma quella di Ippaso. Porfirio ci riferisce che tutto ciò che Pitagora diceva ai suoi discepoli “lo esponeva o sviluppandolo completamente o in forma simbolica. Il suo insegnamento infatti aveva una duplice forma e dei suoi discepoli gli uni -i matematici- avevano avuto un insegnamento scientifico superiore e svolto con maggior rigore, mentre gli altri -gli acusmatici- avevano appreso solo i principi sommari delle scienze, senza un’esposizione più accurata”. Alcuni interpreti del suo pensiero sostengono che sia sorta nella scuola, non prima della metà del V secolo, una scissione tra uomini di scienza ed altri che si accontentavano di brevi formule teoriche: alcuni trascurarono, nella ricerca scientifica, i fondamenti religiosi, mentre altri si attennero al modello di vita pitagorico. Sta di fatto che “tra le cose che disse ai suoi discepoli non c’è nessuno che possa riferirle con certezza, perché tra essi il silenzio non era cosa di poca importanza” (Porfirio). Il silenzio rappresentava, anzi, tra gli esercizi di autocontrollo che Pitagora impartiva ai suoi allievi, quello più duro e faticoso. Non è escluso, inoltre, che vari esponenti della scuola pitagorica fossero esperti nell’uso dei simboli e che sotto questi simboli custodissero il senso delle loro discussioni o dei loro scritti. “E se questi simboli -scrive Giamblico- non si sceverano ed esaminano attentamente, e non si comprendono tramite una seria interpretazione, le cose che in essi si dicono potranno sembrare a quanti le ascoltassero risibili e sciocche (…). Ma se invece vengono esplicate nella maniera conforme a questi simboli e, da oscure che erano, si rendono chiare e limpide a molti (…) allora riveleranno una mirabile profondità di pensiero, infondendo una ispirazione divina nei dotti interpreti che ne hanno compreso il significato”. Perché l’insegnamento di Pitagora aveva questa duplice forma? Chi erano, dunque, i suoi veri discepoli? Coloro che potevano solo ascoltare in silenzio, senza fare domande? Oppure chi era in grado di “apprendere” e di coltivare opinioni personali? Dal suo insegnamento ne scaturiva, forse, anche una scienza falsa, fatta di principi sommari e di brevi formule teoriche? E chi furono i dotti interpreti di quella dottrina? A Pitagora, tra l’altro, si riferisce l’espressione “il maestro ha detto” (ipse dixit), che è poi passata come “detto” nella vita comune. Secondo Timeo, risale a Pitagora il detto “le cose degli amici sono in comune” e “l’amicizia è uguaglianza”. Effettivamente i suoi discepoli mettevano in comune i loro patrimoni. Ma Alcmeone, pitagorico e celebre medico di Crotone, notava che “è più facile guardarsi da un nemico che da un amico”. Fu Ippaso a rivelare a “gente indegna di venirne a conoscenza” la natura delle grandezze incommensurabili e per questo venne scacciato dalla scuola, suscitando un’indignazione tale da preparargli “un sepolcro, proprio come se fosse morto colui che una volta era stato amico” (Giamblico). Fra coloro i quali si davano l’aria di essere suoi discepoli, furono ammirati, infatti, secondo Isocrate, più quelli che si mantennero nel silenzio di coloro che parlando si procacciarono grande fama. Aristotele riferisce che per i Pitagorici “tutte le cose sono numeri” o “imitano i numeri”. Secondo il filosofo di Stagira, i Pitagorici cominciarono con l’osservare i rapporti numerici delle consonanze musicali e, avendo trovato molti altri spunti di corrispondenza fra i numeri e il mondo, conclusero che “tutto quanto il cielo è armonia e numero”. Servendosi delle melodie adatte, come se fossero “misture di medicinali giovevoli alla salute”, Pitagora era in grado di modificare gli stati d’animo degli allievi quando questi erano in preda agli eccessi ed all’intemperanza, riconducendoli alla virtù. Il maestro, per conto suo, ascoltava direttamente la musica delle sfere celesti: i suoni celesti “traggono sì origine dalle ineguali e in vario modo tra loro differenti velocità, grandezza e posizione dei corpi, ma sono nondimeno collocati in reciproca relazione nel modo più armonico”. Pitagora fu il primo a chiamare l’universo “cosmo”, per l’ordine (l’armonia) che regna in esso. Armonia, ordine ed equilibrio rappresentavano anche i principi base della medicina greca e, in particolare, della scuola crotoniate: “Alcmeone dice che la salute è mantenuta dall’equilibrio delle forze, dell’umido del secco del freddo del caldo dell’amaro del dolce e così via, mentre il dominio di uno solo provoca la malattia (…). La salute invece consiste in una mescolanza delle qualità” (Aezio). Ma di quale equilibrio si parla se non di quello che è misura della propria anima? E si tratta, forse, di una medesima misura, che resta sempre la stessa, nella gioventù come nella vecchiaia, in me come in te? Una misura puramente quantitativa, che nell’aggiungere o nel togliere, nell’ampliare o nel tagliare, fa risiedere il fine della cura? Una misura, quindi, senza forma? Molto simile, forse, alle nostre moderne cliniche? Scrive Epicarmo, poeta siracusano e seguace di Pitagora: “-Se uno a un numero dispari (o pari se vuoi) vuol aggiungere una pietra oppure vuol toglierla da quelle che ci sono, ti pare che resti uguale? -No certo. -E ora, se uno a una misura di un braccio vuol aggiungere un’altra lunghezza, o tagliarla via da quella che c’è, quella misura, resta sempre la stessa? -Ma no. -E ora guarda gli uomini: uno cresce l’altro cala, e tutti cambiano per tutto il tempo. Ma ciò che cambia per natura e non rimane mai nello stesso stato è già diverso da quello che è cambiato, e tu e io ieri eravamo altri, ora siamo altri, e poi altri in futuro, e mai gli stessi secondo la stessa misura”. L’Uno e i molti: immagini di numeri, simboli di uguaglianza e di differenza, domini del limite e dell’illimitato, fonti di salute e di malattia, fattori di giustizia e di prevaricazione, esperienze di dialogo e di intolleranza, espressioni del silenzio e della chiacchiera, del pensare e del parlare. Il Maestro Pitagora, l’”amico del sapere”, era in grado di “vedere“ tutto questo e ne era consapevole, in prima persona, nell’esperienza del suo insegnamento. 4. Pitagora Fisico
Si può attribuire a Pitagora il merito di avere formulato in termini matematici la prima legge fisica, connessa alla scoperta delle leggi dell’armonia. Convinto che i numeri fossero l’essenza di tutte le cose, Pitagora compì esperimenti sui suoni emessi da corde di diversa lunghezza per vedere se fosse possibile una qualche relazione matematica tra le lunghezze delle corde ed i corrispondenti suoni emessi. Egli si servì di una corda di lunghezza variabile soggetta a differenti tensioni dovute all’effetto di opportuni pesi applicati agli estremi delle corde. Dopo svariati esperimenti Pitagora si accorse che la produzione di opportune armoniche si aveva solo quando le lunghezze della corda stavano tra loro come numeri interi piccoli. Il rapporto tra le lunghezze corrispondeva alla produzione di quella che oggi chiamiamo un’ottava, il rapporto ad una quinta, il rapporto ad una quarta. Questa scoperta può essere considerata come la prima formulazione matematica di una legge fisica e rappresenta il primo tentativo di matematizzare la natura, cioè rappresenta il primo passo compiuto verso lo sviluppo dell’attuale fisica teorica. Ricordando che in tutto il periodo dell’antica Grecia non ci fu sperimentazione sistematica, possiamo affermare che i risultati raggiunti da Pitagora e dalla sua scuola possono considerarsi eccezionali per quei tempi. Galvanizzato dal successo ottenuto nello studio dei suoni emessi dalle corde vibranti , Pitagora formulò una ipotesi suggestiva : poiché il moto dei pianeti deve essere armonioso, le loro distanze dalla Terra debbono stare tra loro come numeri interi semplici, allo stesso modo delle lunghezze delle corde vibranti (soggette alla stessa tensione) che producono le sette note fondamentali della lira, lo strumento nazionale greco. A causa di questa armonia il moto dei corpi celesti dovrebbe produrre musica (musica delle sfere) e questa dovrebbe essere udita dagli uomini che popolano la terra. Alla obiezione che tale musica non era mai stata udita da nessuno Pitagora rispondeva Con le seguenti argomentazioni : 1) il suono può essere percepito solo se prodotto per un intervallo di tempo limitato 2) il suono dei Corpi Celesti non può essere udito perché nato con l’universo . La presenza dei numeri interi nei fenomeni fisici analizzati e studiati da Pitagora ci fa scorgere un collegamento con i pesi atomici, i numeri atomici, la teoria dei quanti, la carica elettrica, cioè ci fa pensare a tutti quei fenomeni che, dopo più di due millenni, hanno consacrato definitivamente il carattere discontinuo della materia. Interessante è la prima concezione non geocentrica del Cosmo formulata da un seguace di Pitagora, Filolao da Crotone () che nel si rifugiò a Tebe. Filolao, richiamandosi alla scuola di Pitagora, riteneva che il numero triangolare 10, chiamato tetractys, fosse un numero perfetto ed avesse un enorme potere mistico. Infatti occorrevano 4 punti per individuare un corpo solido e la somma dei primi quattro numeri interi dava . Per questo motivo l’intero Cosmo doveva essere costituito da 10 corpi celesti mobili. Di questi 10 corpi celesti solo 9 erano visibili (la Terra, il Sole, la Luna, i cinque pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno) e la sfera delle Stelle) ed uno, l’Antiterra, invisibile.
Artificiosa appare l’introduzione del decimo corpo celeste, l’Antiterra, situato in posizione diametralmente opposta alla terra e da questa invisibile, poiché entrambi ruotano con uguale periodo attorno ad un fuoco centrale (sede di Zeus ed origine dell’attività cosmica) come appare in figura. Anche il Fuoco centrale non era osservabile dalla Terra, poiché la parte di essa abitata è nell’emisfero opposto al centro dell’orbita.
Pitagora riteneva che i pianeti avessero forma sferica, in quanto la sfera era considerata la più perfetta tra le figure geometriche. Inoltre era convinto che i pianeti si muovessero nel cielo con moti circolari, a velocità differenti ed a distanze diverse da un punto centrale, che non era né la Terra né un astro, ma un <<fuoco centrale>>. Filolao, per quanto distante dalla teoria eliocentrica di Copernico, pose le basi per una nuova concezione dell’Universo. L'aspetto esoterico del modello pitagorico rimase per secoli il punto di riferimento per la cosmologia, tanto che ancora nel 1619 Keplero lo utilizzò nel suo strabiliante libro l'armonia del mondo. In esso egli descrisse le leggi musicali che regolano il moto dei pianeti, specificando che nella sinfonia celeste Mercurio canta da soprano, Marte da tenore, Saturno e Giove da bassi, e la Terra e Venere da alti. E nella terza delle tre famose leggi di Keplero ricompare, miracolosamente, il rapporto di quinta; il quadrato del periodo di rotazione di un pianeta attorno al Sole è infatti proporzionale al cubo della sua distanza da esso.
5. Pitagora Matematico
Pitagora, uomo di multiforme ingegno, si è distinto soprattutto per il suo straordinario contributo in matematica. Il suo merito principale è quello di avere elevato l’aritmetica al rango di scienza pura. Oltre all’aritmetica, nella quale raggiunse risultati eccezionali, studiò la teoria delle proporzioni, le rette parallele, la proprietà della somma degli angoli interni di un triangolo, le aree dei poligoni, i poliedri regolari, noti come figure cosmiche. Per Pitagora il numero intero è il principio di tutte le cose. L’espressione <<le cose sono numeri>> significava che ogni porzione di materia era costituita da punti materiali, di piccola ma non nulla grandezza, e che dalla configurazione (numero ed ordine) di questi punti, tra loro identici ed indistinguibili, discendevano tutte le proprietà e le differenze apparenti dei corpi. Per i Pitagorici, i punti (da loro chiamati monadi = unità) con i quali costruivano le varie figure erano insieme atomi fisici ed indivisibili geometrici. Erano gli elementi primi, non ulteriormente decomponibili, tanto dei corpi fisici quanto delle figure geometriche. Per Pitagora non c’era alcuna differenza tra figura geometrica e corpo fisico; fisica e geometria erano la stessa cosa. Per Pitagora un segmento (qualsiasi altra linea) non poteva essere suddiviso indefinitamente in parti sempre più piccole. Ogni segmento era costituito da un numero finito di monadi dotate di dimensioni piccolissime. Questa concezione conduceva all’affermazione che il rapporto di due segmenti qualsiasi doveva essere un numero razionale, cioè due qualsiasi segmenti dovevano essere sempre commensurabili e la comune sottomultipla doveva essere il punto monade o un suo multiplo. La scoperta della incommensurabilità tra la diagonale ed il lato di uno stesso quadrato mise in crisi tutta la filosofia pitagorica, in quanto crollava l’ipotesi che le cose fossero numeri e che l’elemento primo della realtà che ci circonda fosse il punto-monade, indivisibile ma non evanescente e quindi dotato di dimensione. I Pitagorici sostenevano che: 01) il numero uno era il generatore dei numeri ed era il numero della ragione; 02) il numero due era il primo numero pari o femminile ed era il numero dell’opinione; 03) il numero tre era il primo vero numero maschile ed era il numero dell’armonia, essendo composto di unità e diversità; 04 ) il numero quattro era il numero della giustizia o del castigo ed indicava il fare quadrare i conti; 05) il numero cinque era il numero del matrimonio in quanto unione del primo vero numero maschile col primo numero femminile; 06) il numero sei era il numero della creazione. Ciascun numero possedeva a sua volta attributi suoi particolari. Il più sacro di tutti era il numero dieci o tetractys o sacra decade, poiché esso rappresentava il numero dell’universo. Infatti conteneva la somma di tutte le dimensioni geometriche possibili. Un punto è il generatore delle dimensioni, due punti determinano una linea ad una dimensione (retta), tre punti (non allineati) determinano un triangolo con un’area a due dimensioni e quattro punti (non giacenti su uno stesso piano) determinano un tetraedro con un volume a tre dimensioni. La somma dei numeri ( ) rappresentanti tutte le dimensioni è il venerato numero dieci.
La raffigurazione mostra che il numeroè uguale a . Ma c’è di più. Nella decade sono contenuti ugualmente il pari (quattro numeri pari: 2,4,6,8) ed il dispari (quattro numeri dispari: 3,5,7,9). La decade contiene 4 numeri primi (2,3,5,7) e 4 numeri composti (4, 6, 8, 9). L’uno equivale al punto, il 2 alla linea, il 3 al triangolo (e quindi alla superficie), il 4 alla piramide (e quindi ad un generico solido): i punti, le linee, le superfici, i solidi sono in grado di generare tutte le cose che esistono in natura. Seconde le vedute di Pitagora i 4 numeri della sacra tetracktys sono in grado di generare tutta la realtà che ci circonda. La distinzione dei numeri pari e dispari, dei numeri amici (ognuno dei quali è la somma dei divisori dell’altro), dei numeri perfetti (uguali alla somma dei loro divisori), dei numeri lineari o rettilinei (cioè primi), dei numeri piani o rettangolari (cioè composti) risalgono alla scuola pitagorica. Il numero uno non era considerato un numero dispari ma l’origine di tutti i numeri e per questo motivo era detto numero parimpari. Gli intimi legami che connettono il pensiero pitagorico con il concetto di numero sono bene illustrati dall’interesse dei pitagorici per i numeri figurati. Con la loro visione geometrica dei numeri, i Pitagorici ottennero risultati assai belli ed interessanti sui numeri interi (aritmogeometria). La figura seguente mostra sia i numeri triangolari 1,3,6,10,15 che i numeri quadrati 1,4,9,16,25.
Sebbene non sia possibile formare alcun triangolo con meno di tre punti, è possibile avere triangoli formati da un numero maggiore di punti, come 6, 10 o 15. Numeri siffatti, chiamati numeri triangolari, si originano utilizzando la seguente formula: . I pitagorici sapevano che un numero quadrato di qualsiasi ordine è uguale al numero triangolare dello stesso ordine aumentato del numero triangolare precedente, cosa che dimostravano separando i punti e contandoli.
= numero quadrato di ordine 3. E’ interessante confrontare questo metodo con quello che un allievo intelligente delle scuole superiori userebbe oggi. Il numero triangolare di ordine n è ovviamente , cioè è la somma di una progressione aritmetica di ragione 1 ed è uguale a . Per la stessa ragione il numero triangolare precedente è . Semplici nozioni di algebra elementare mostrano che la somma dei due numeri triangolari consecutivi (il primo di ordine ed il secondo di ordine n) è , cioè il numero quadrato di ordine n. Infatti: . Un’altra serie di numeri privilegiati era quella che dava luogo ai numeri quadrati e si ricavava utilizzando la seguente relazione:
I numeri dispari venivano chiamati <<gnomoni>> per la possibilità di rappresentarli in forma di gnomone (cioè squadra; orologio solare babilonese).
Questa rappresentazione permise ai pitagorici di scoprire che ogni numero dispari è la differenza di due quadrati, come mostra la seguente figura:
La seguente serie, somma di numeri n pari consecutivi, dava luogo a quelli che i pitagorici chiamavano <<numeri oblunghi>>, ciascuno dei quali era il doppio di un numero triangolare. Strutture di punti pentagonali illustravano i numeri pentagonali dati dalla sequenza:
I numeri esagonali venivano generati dalla sequenza:
In maniera analoga venivano indicati numeri poligonali di ogni ordine. Numeri r-agonali: Tale procedimento può essere facilmente esteso allo spazio tridimensionale, ove si ha a che fare con numeri poliedrici. · Se partiamo da 1 la somma di un numero qualsiasi di numeri interi consecutivi è un numero triangolare come indica la seguente figura: · La somma di una successione di numeri dispari consecutivi dà sempre un numero quadrato come indica la seguente figura: . Se sommo n numeri dispari consecutivi trovo sempre il numero :
· La somma di una successione di numeri pari consecutivi dà sempre un numero rettangolare come indica la seguente figura . Il numero è il numero rettangolare che si ottiene sommando i primi 3 numeri pari. Se sommo n numeri pari consecutivi trovo sempre il numero rettangolare .
numeri pentagonali: numeri esagonali:
5.1 I numeri amici o numeri amicabili
Pitagora alla domanda cosa fosse un amico rispondeva: <<Uno che sia l’altro, come sono e >>. In termini moderni questo significa: i divisori di (escluso il numero stesso) sono 1, 2, 4, 71, 142 e la loro somma è . I divisori sono 1, 2, 4, 5, 10, 11, 20, 22, 44, 55, 119 e la loro somma è . I pitagorici chiamavano numeri come questi, numeri amici (numeri tali che la somma dei divisori di uno di essi, escluso il numero stesso, sia uguale all’altro e viceversa). La scoperta di simili coppie era per i Greci un problema di grande interesse e di notevole difficoltà. Il problema generale, se ne esistano infinite, non è stato finora risolto, benché se ne conoscano ormai quasi un centinaio. C’è una storia medievale, forse non autentica, del califfo (Harun al) Rashid, il cui nome, alla luce della gematria, equivaleva a . Ebbene, egli cercò una sposa il cui nome corrispondesse a credendo che questa sarebbe stata la garanzia celeste per un matrimonio celeste. Gli araldi trovarono la principessa Yasmine che corrispondeva, sempre secondo la gematria, al numero . Elenco di alcune coppie di numeri amicabili: , , , , , , , .
5.2 I numeri perfetti
Un numero si dice perfetto se è uguale alla somma dei suoi divisori, escluso il numero stesso. Sono numeri perfetti: , , , , . Un numero perfetto pari deve terminare per 6 o per 8.
5.3 Terne pitagoriche e triangoli aritmetici
[A] è detta equazione pitagorica in quanto esprime la nota relazione fra i lati di un triangolo rettangolo. Se x, y, z sono numeri interi positivi che verificano la [A], si dice che costituiscono una terna di numeri pitagorici ed il corrispondente triangolo rettangolo è detto triangolo aritmetico. Per risolvere l’equazione [A] per numeri interi, basterà trovare tutte le sue soluzioni intere positive o meglio basterà determinare le sue soluzioni primitive, cioè le soluzioni costituite da numeri interi primi fra loro. Ogni terna pitagorica primitiva genera infinite terne pitagoriche. Pitagora riesce a dare la formula per x dispari. In questo caso si ottiene una terna pitagorica ponendo: , , Oppure ponendo: , , dove m è un numero dispari. La formula per x pari è stata data da Platone. Se x è pari abbiamo : , , . Tutte le terne pitagoriche, primitive e non, cioè tutte le possibili soluzioni intere dell’equazione [A] si ottengono applicando le seguenti formule: [B] Chiamiamo terne pitagoriche primitive quelle i cui elementi sono primi tra loro. Si ottengono dalle [B] per e con h e k che, oltre ad essere primi fra loro ed , sono anche di parità diversa. Dunque le terne pitagoriche primitive si possono esprimere con: [C] x ed y sono dispari , y risulta pari e multiplo di 4. Le [C] le troviamo presenti per la prima volta nell’opera di DIOFANTO (III secolo d.C.).
5.4 Proprietà delle terne pitagoriche
La somma delle terne che costituiscono una terna pitagorica è un numero pari. Infatti risulta:
Il prodotto delle misure dei tre lati di un triangolo pitagorico è multiplo di . Esempio
5.5 Storia e leggenda del teorema di Pitagora
Come sappiamo il teorema di Pitagora recita: <<in ogni triangolo rettangolo il quadrato costruito sull’ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui due cateti>>. Il teorema di Pitagora può essere esposto anche nella seguente forma: <<in ogni triangolo rettangolo l’area della superficie del quadrato che ha per lato l’ipotenusa è uguale alla somma delle aree delle superfici dei quadrati che hanno come lati i loro cateti>>. Avendo indicato con a e b le lunghezze dei cateti di un triangolo rettangolo e con c quella dell’ipotenusa, quanto ora affermato si traduce nella relazione: [1] ossia si può scrivere una relazione tra numeri, collegata alla figura costituita da un triangolo rettangolo. Convinti che Pitagora abbia dimostrato il teorema che porta il suo nome ci chiediamo: come l’avrà dimostrato? La dimostrazione del teorema di Pitagora, che di solito si studia a scuola, non è di Pitagora, ma di Euclide. Noi riteniamo che la dimostrazione originale di Pitagora sia quella che ora esponiamo con l’aiuto di due figure. Nella prima figura è disegnato un quadrato di lato , scomposto in un quadrato di lato a, un quadrato di lato b e 4 triangoli rettangoli di lati a, b, c .
Nella seconda figura consideriamo lo stesso quadrato che, questa volta, decomponiamo in modo diverso, precisamente lo decomponiamo in 4 triangoli rettangoli di lati a, b, c ed in un quadrato di lato c. Abbiamo due quadrati (quelli grandi, di lato , uguali). Se da essi, tanto dall’uno quanto dall’altro, togliamo una stessa area (quella dei 4 triangoli rettangoli con cateti a, b), le parti che restano avranno ancora area uguale. Ma le parti che restano sono, nella prima figura, la somma dei quadrati dei cateti a e b, nella seconda il quadrato dell'ipotenusa c. Il teorema di Pitagora così dimostrato è, con tutta probabilità , simile a quello utilizzato da Pitagora.
5.6 Il presidente degli Stati Uniti d’America dimostra il teorema di Pitagora
Nel sul giornale statunitense The Mathematical Magazine uscì, postuma, una dimostrazione del teorema di Pitagora il cui autore non era certamente uno dei soliti cultori di matematica; si trattava di John Garfield, il presidente degli Stati Uniti d’America, che era morto tragicamente, in seguito ad un attentato, l’anno precedente. Si costruisce in maniera opportuna un trapezio rettangolo e si utilizzano le formule necessarie a calcolare l’area del trapezio e quelle di opportuni triangoli rettangoli. Il procedimento è il seguente: si dispone il triangolo , rettangolo in C, come indicato in figura, e se ne traccia un altro uguale avendo prolungato il cateto minore dalla parte di B di un segmento
5.7 Il teorema di Pitagora ed ilcalcolo vettoriale
Elevando ambo i membri al quadrato e ricordando che abbiamo: e quindi: il teorema di Pitagora è così dimostrato.
5.8 I cinesi ed il teorema di Pitagora
5.9 La scoperta delle grandezze incommensurabili:crisi del pitagorismo
Il teorema di Pitagora che doveva rappresentare il vanto della scuola pitagorica si rivelò, invece, come il <<cavallo di Troia del pensiero pitagorico>>. Infatti questo teorema contiene in sé la negazione dell’assioma che vuole le figure geometriche, come ogni oggetto esistente in natura, costituite da un numero finito di monadi. La grande crisi dell’aritmo-geometria di Pitagora fu causata dalla scoperta che le figure geometriche sono costituite non da un numero finito, ma da una infinità di punti . Il primo fatto geometrico che costrinse i pitagorici a riconoscere che le figure geometriche sono costituite da infiniti punti, è proprio connesso a quel medesimo teorema che porta il nome di Pitagora. Applicando detto teorema ad uno dei due triangoli rettangoli ed isosceli in cui è diviso un quadrato, si dimostra facilmente che il lato e la diagonale di tale quadrato non possono avere alcun sottomultiplo comune, cioè la diagonale ed il lato di uno stesso quadrato sono grandezze incommensurabili. Dimostriamo l’incommensurabilità della diagonale e del lato di uno stesso quadrato secondo le vedute di Pitagora. Abbiamo supposto che la diagonale misura n , mentre il lato del quadrato misura m . Per il teorema di Pitagora abbiamo: . Senza ridurre la generalità del discorso i due numeri interi n ed m possono essere considerati primi tra loro. Dimostriamo che la relazione è falsa. Due numeri interi sono uguali se decomposti in fattori primi presentano gli stessi fattori con gli stessi esponenti. Il numero intero contiene il fattore 2 un numero dispari di volte, il numero intero o non contiene il fattore 2 o lo contiene un numero pari di volte. Pertanto i numeri interi ed non possono essere uguali.Tale apparve lo scandalo della scoperta, che il colpevole della sua divulgazione (Ippaso di Metaponto) venne considerato meritevole di maledizione e scacciato dalla setta. L’ignominia che dovette circondare la figura di Ippaso di Metaponto per i suoi ex compagni è espressa nella leggenda della punizione inflittagli dagli dei. <<E’ fama , racconta Proclo, che colui il quale per primo rese di pubblico dominio la teoria degli irrazionali sia perito in un naufragio, e ciò perché l’inesprimibile e l’inimmaginabile avrebbero dovuto rimanere sempre celati. Perciò il colpevole, che fortuitamente toccò e rivelò questo aspetto delle cose viventi, fu trasportato al suo luogo di origine e là viene flagellato in perpetuo dalle onde>>. L’avvento degli irrazionali, all’epoca chiamati gli inesprimibili, segnò il declino del pitagorismo come sistema di filosofia naturale. La perfetta concordanza tra gli enti dell’aritmetica e quelli della geometria, proclamata dai Pitagorici, risultò un inganno: come può il numero dominare l’universo se non riesce a spiegare nemmeno il più immediato aspetto dell’universo, la geometria? La geometria, nata per studiare il mondo esterno, il reale, si rivelava diversa dal mondo esterno. L’atomo ha dimensioni, il punto no; essi non sono la stessa cosa come avevano ritenuto i Pitagorici. La scoperta dell’esistenza dei numeri irrazionali portò Platone prima ed Euclide dopo a considerare gli enti geometrici, in primo luogo il punto, come enti ideali, che possiedono una realtà diversa dagli enti corporei. Con Platone la geometria si separa tanto dalla filosofia quanto dalla fisica. La monade pitagorica, che era insieme punto geometrico ed atomo fisico, si sdoppia diventando per la geometria <<ciò che non ha parti>> e per la fisica il costituente più piccolo della materia.
Bibliografia: Pitagora. Le opere e le testimonianze, Introd. di W. Burkert, a c. di M. Giangiulio, Oscar Mondatori, Milano 2000. C. H. KAHN, Pitagora e i Pitagorici, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, 1993.
Gli alunni della III B
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