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Moro e Campanella :
utopie
a
confronto
ricerca condotta
dalle alunne
Colucci Maria ,
Acierno Alessandra
Guerriero Rachele
coordinate dal
docente Antonio Mastantuoni
Colucci Maria |
Acierno Alessandra |
Guerriero Rachele |
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17_Moro_e_Campanella, utopie a confronto.pdf
Il termine “utopia”, che designa un
intero filone della letteratura politica, viene utilizzato per la prima
volta dall’umanista inglese Thomas More, nella sua omonima e celeberrima
opera del 1516.
“Utopia” deriva dalle parole greche ou
(“non”) e topos (“luogo”), assumendo il significato di “nessun
luogo”, “luogo inesistente”; nel linguaggio corrente, definisce un
progetto impossibile ed inattuabile, un sogno ad occhi aperti.
Attraverso questa forma di pensiero
politico, l’utopista si oppone radicalmente alla società contemporanea e
ne idea un’ “altra”, assolutamente giusta, luogo del bene e della
felicità.
Apparentemente, l’utopista potrebbe
sembrare un illuso, un sognatore; al contrario, egli è un profondo
realista, un riformatore consapevole del carattere prematuro del suo
progetto, che non esita però a lanciare un messaggio ai posteri,
invitandoli a riflettere nel profondo delle loro coscienze.
L’utopia è a volte rappresentata sotto la
forma del travestimento; il messaggio utopico risulta, così, un sottile
artificio sottoforma di racconto avventuroso, romanzesco, che consente
ai lettori di dilettarsi e, allo stesso tempo, di carpirne a pieno il
significato intrinseco.
Altro carattere peculiare dell’utopia è
la collocazione del modello di società fuori dai confini storici e
geografici, in un mondo sconosciuto, inesplorato.
L’utopia, dunque, fornisce un programma
utile, ma allo stesso tempo irrealizzabile nell’immediato; essa lancia
un monito affinché il domani possa essere migliore dell’oggi.
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Sebbene la prima grande utopia politica
della filosofia occidentale sia quella contenuta nella “Repubblica” di
Platone, che elabora un modello di stato ideale contrapposto alla ormai
decadente polis ateniese, è durante il Rinascimento che la
letteratura utopica conosce la sua fioritura.
Il Rinascimento fu essenzialmente un’età
di fede nella ragione e di fiducia nella capacità umana di conoscere il
mondo e farsene strumento.
Tuttavia, quell’età fu anche
caratterizzata da grandi rivolgimenti, da trasformazioni economiche e
sociali, dalla nascita degli stati moderni, infondendo negli spiriti più
sensibili notevoli aspettative di giustizia, accompagnate da una
profonda esigenza di rinnovamento religioso capace di sollevare il
Cristianesimo dalla decadenza del tempo.
Tutto ciò implicò un risveglio degli
ideali democratici ed egualitari, una rivendicazione dei diritti
originari e della dignità umana.
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Tommaso Moro
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Portavoce di queste nuove istanze, ai
primi del Cinquecento, fu l’inglese Thomas More, che attraverso la sua
“Utopia” elaborò un modello di società perfettamente giusta,
contrapposta alla gravissima crisi che imperversava nel suo Paese.
L’opera cerca di rispondere al problema di come vaste masse contadine,
cacciate dalle terre trasformate in pascoli per il commercio della lana,
possono costruire una società alternativa al sistema delle enclosures
(recinzioni) e della concentrazione della ricchezza nelle mani di
poche persone.
L’ “Utopia” si compone di due parti
distinte ma complementari.
Il primo libro analizza minuziosamente il
malessere economico e sociale che travaglia l’Inghilterra del primo
Cinquecento. La nobiltà parassitaria e le guerre di prestigio, la
divisione tra ricchi e poveri causata dalla proprietà privata, la
corruzione e l’indolenza generali, sono solo alcune delle
caratteristiche di un Paese, per il quale sono necessari un radicale
mutamento delle strutture ed una redistribuzione globale dei mezzi di
sussistenza.
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Il secondo libro si occupa della
descrizione di Utopia, un’isola felice a forma di mezzaluna, fondata dal
legislatore saggio e illuminato Utopo.
L’isola è una federazione di 54 città
ampie e magnifiche, dall’aspetto identico; al centro di Utopia vi è
Amauroto, prima città e capitale dello Stato.
I cittadini sono secondo la legge tutti
uguali; gli schiavi non sono né prigionieri di guerra né figli di altri
schiavi, ma semplicemente coloro che si sono macchiati dei reati più
gravi. L’intero Stato è basato sulla democrazia, che viene materialmente
rappresentata dai comitia pubblica; le leggi sono poche, semplici
e chiare; le guerre offensive sono bandite e la difesa dell’isola è
affidata ad un esercito popolare di volontari supportato da mercenari.
L’intera popolazione vive nella concordia
e nell’abbondanza, sancite dall’abolizione della proprietà privata e
dalla conseguente messa in comune dei mezzi di produzione, dei prodotti
del lavoro, delle istituzioni sanitarie e assistenziali.
Il nucleo fondamentale della società di
Utopia è la famiglia, nei campi economico, politico, sociale e
produttivo. All’interno di essa, a comandare è il più anziano e grande
importanza è attribuita al matrimonio; è la famiglia, non l’individuo,
ad essere detentrice del potere elettorale.
L’economia di Utopia è fondata sul lavoro
e l’attività comune a tutti è l’agricoltura:
“C’è un’occupazione comune a tutti indistintamente, uomini e donne,
l’agricoltura, e nessuno ne è eccettuato. In questa sono ammaestrati
tutti dalla fanciullezza…”
Inoltre, ognuno apprende un mestiere,
un’arte qualsiasi, come sua particolare; lavorano tutti sei ore al
giorno, tranne una ristretta cerchia di intellettuali autorizzati dallo
Stato a dedicarsi completamente agli studi. Non vi è circolazione di
denaro, mentre l’oro e le pietre preziose sono tenuti in disprezzo e
adoperati per cingere i polsi agli schiavi. Gli Utopiani si occupano
anche dell’etica, ma il loro intento principale è sapere in cosa
consista la felicità umana. La maggior parte di essa, secondo loro, è
riposta nel piacere buono e onesto. Alla felicità è spinta la natura
umana dalla virtù stessa:
“
Virtù è vivere secondo natura ”
e “ segue la guida della natura chiunque obbedisce
a ragione ”.
In Utopia non vi è nessuna religione di
Stato ed è concesso a tutti di venerare il dio che si sceglie;
nonostante ciò, l’ateismo non è accettato perché considerato pericoloso
per la sopravvivenza della società. La religione professata dalla
maggior parte degli Utopiani onora una sola divinità creatrice immensa e
inesplicabile, origine e fine di ogni cosa, chiamata Mitra; professa
l’immortalità dell’anima e crede nel premio e nel castigo eterni.
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Tommaso Campanella |
L’opera ironica e sottile di More, anche
ormai varcate le soglie del Seicento, continuava a parlare alle
coscienze più vigili e profonde. In un diverso contesto storico ma con
la medesima esigenza di un rinnovamento della vita civile e spirituale,
il frate ribelle Tommaso Campanella scriveva in carcere la sua “utopia”.
“La città del Sole” è un dialogo poetico
tra l’Ospitalario, cavaliere dell’ordine di Malta, e il marinaio
Genovese, nocchiero di Colombo. Questi racconta di essere approdato
sull’isola di Taprobana e di aver visitato una città ideale per leggi e
costumi.
La città sorge su un colle ed ha
struttura circolare, costituita da sette cerchia di mura concentriche,
che la rendono praticamente inespugnabile. Vi si accede attraverso
quattro porte rivolte verso i quattro punti cardinali; in cima al colle
vi è una grande pianura in mezzo alla quale sorge il tempio del Sole. La
città è organizzata in modo razionale, ordinato e rigoroso. Essa è
governata da un principe sacerdote, chiamato Sole o Metafisico, che si
distingue per la vastità, la profondità e la completezza della
conoscenza. Egli, infatti, non solo deve essere esperto in ogni ramo
dello scibile, ma anche “Metafisico e Teologo ” e deve conoscere
compiutamente la radice e prova di ogni arte e scienza, e le
similitudini e le differenze tra le cose. Il Metafisico è affiancato da
Pon, Sir e Mor ( Potestà, Sapienza e Amore ), i tre magistrati che
sovrintendono rispettivamente all’arte militare, alle scienze e alla
generazione e che corrispondono alle tre primalità metafisiche (
“potere”, “sapere” e “volere” ), che caratterizzano ogni ente.
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Nella città, è bandita la proprietà
privata, ritenuta l’origine delle discordie sociali e politiche, ed è
instaurata una proprietà collettiva che preservi l’uomo dalla
corruzione. E’ vietata la circolazione di denaro e il lavoro, di quattro
ore giornaliere, è obbligatorio per tutti, non essendoci distinzione tra
attività manuali ed intellettuali.
I Solari affidano alla comunità
l’educazione dei figli, che è generale e indifferenziata per maschi e
femmine. I piccoli imparano giocando e correndo per le vie della città,
essendo le mura completamente istoriate, tanto da costituire una sorta
di enciclopedia visiva estesa a tutte le arti e scienze.
Tutto nella Città del Sole è
accuratamente disciplinato, anche i rapporti sessuali. La procreazione è
decisa dallo Stato, essendo la prole un bene pubblico, cosicché
l’accoppiamento diviene un vero e proprio rituale, che tiene conto anche
dell’ora e della posizione degli astri.
Le leggi sono brevi e chiare, impongono
una rigorosa condotta di vita, che non ammette eccezioni; tuttavia non
ci sono carceri all’interno della città.
Essendo la proprietà privata abolita in
tutte le sue forme, vengono aboliti anche gli affetti privati e la
famiglia; quest’ultima, secondo Campanella, tende a degenerare in
nepotismo e particolarismo.
I Solari professano la religione
naturale, una sorta di Cristianesimo senza rivelazione e sacramenti;
credono nell’immortalità dell’anima, onorano l’universo perché
testimonianza di Dio, ma non hanno certezze in merito a eventuali luoghi
di pena o di premio dopo la morte corporale.
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Le due utopie rappresentano modelli di
società che possono definirsi ideali, fondate sulla moralità,
sull’uguaglianza, sulla giustizia, sulla libertà, sulla libera
espressione del pensiero umano.
Moro e Campanella si fanno portatori di
quelle grandi istanze innovatrici che investono la società
rinascimentale, avvertendo e combattendo in ogni modo il peso che
storicamente hanno avuto in quest’epoca tutte le istituzioni politiche e
religiose, ormai corrotte, immobilizzate da interessi di parte ed
incapaci di farsi carico di quel rinnovamento spirituale e sociale che i
segni del tempo rendevano manifesto.
In entrambe le opere, gli autori
ricorrono alla metafora del viaggio e dell’isola. Le comunità utopiche
vengono localizzate in luoghi isolati e la loro caratteristica più
evidente è che, essendo società ideali, sono aboliti passato e futuro.
Nessuna trasformazione è in corso e la vita delle comunità si svolge
all’interno di una dimensione temporale che è un presente senza fine.
In secondo luogo, le due grandi utopie
rinascimentali delineano delle sofocrazie, ovvero delle organizzazioni
sociali perfette, assicurate da un governo fondato sul sapere.
Ne “L’Utopia”, l’importanza del sapere
nell’organizzazione sociale della città è dimostrata dal fatto che sono
esonerati dall’obbligo del lavoro manuale solo coloro che dimostrano
inclinazione agli studi, ed è tra questi che vengono scelti sia i
governatori sia i sacerdoti.
Ne “La città del Sole”, la funzione
primaria del sapere è ancora più evidente; il Metafisico, che governa la
città, ha il sapere della totalità.
Tutto ciò è in netta contrapposizione con
la contemporanea teorizzazione politica di Machiavelli, secondo cui il
diritto a governare si fonda su un atto di forza da parte del principe.
Inoltre, il realismo machiavelliano preferisce partire da un’analisi
della realtà, facendo riferimento alla situazione italiana in
particolare, su cui poi costruisce il suo pensiero politico; al
contrario, nelle opere utopiste c’è la volontà di idealizzare la
società, creandone un’altra come secondo gli utopisti essa dovrebbe
essere.
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In terzo luogo, entrambe le utopie
presentano una società retta da una religione che incarna lo spirito del
Cristianesimo più autentico, avulso da superstizioni, dogmi, vane
dispute teologiche e intolleranze.
Moro presenta la religione naturale
prevalente a Utopia e ne sottolinea l’affinità profonda con il
Cristianesimo, spiegando la concordanza tra la vita autenticamente
cristiana e ciò che la ragione stessa ha suggerito agli Utopiani.
Campanella delinea per i Solari una
religione naturale e razionale, che coincide con il vero insegnamento
del Cristianesimo, e che predica il messaggio evangelico di amare il
prossimo.
Entrambe le società, inoltre, si fondano
sull’assenza della proprietà privata e delle disuguaglianze, per cui
tutto appartiene a tutti e non ci sono né poveri né mendicanti. Il
lavoro è rigorosamente organizzato ed esteso tanto agli uomini quanto
alle donne, in modo da aumentare il livello della produzione a beneficio
della comunità.
Per quanto riguarda la famiglia, essa
assume due ruoli completamente diversi nelle due utopie. Per Moro, essa
è a fondamento della società, essendo una comunità di vita, di lavoro,
di educazione e di affetti, quel luogo in cui si forma la personalità di
ogni singolo. Campanella, invece, estende la soppressione dei vincoli
familiari a tutti i membri della comunità, considerando l’amore per i
figli un enorme incentivo all’avidità e al clientelismo.
Ne “La città del Sole”, non vi sono
distinzioni di classi sociali, per cui il lavoro è obbligatorio per
tutti.
Ne “L’Utopia”, vi è una distinzione tra
liberi e schiavi; a questi ultimi, macchiatisi dei reati più gravi, sono
destinati i lavori più umili. Anche tra i cittadini liberi, inoltre, vi
sono delle differenze; gli uomini di lettere sono esentati dal lavoro
per far sì che essi si concentrino esclusivamente sugli studi, e solo
tra loro vengono scelti gli ambasciatori, i sacerdoti e i membri delle
istituzioni.
In entrambe le utopie, comunque, la
moralità, la giustizia sociale, la fratellanza, l’eguaglianza, sono dei
punti saldi su cui la società stessa fa perno.
“L’Utopia” e “La città del Sole”
rappresentano la tensione emotiva con cui i due utopisti Moro e
Campanella si oppongono ai soprusi, alla violenza, alla povertà, alla
guerra, all’odio, che travagliano i loro Paesi, fornendo due modelli di
società in cui il bene trionfi sul male, due paradigmi a cui il genere
umano ( e i posteri ) possa fare riferimento.
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Bibliografia
-
“Dialogos,
la filosofia moderna” (B. Mondadori) (Manuale di storia della filosofia)
-
“L’utopismo” di Luigi Firpo
-
“L’Utopia”
di Tommaso Moro (Economica Laterza)
-
“La città
del Sole” di Tommaso Campanella (Feltrinelli)
Siti internet consultati
-
www.swif.uniba.it
-
www.liberliber.it
-
www.filosofico.net
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