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Donne ed arte :
due passioni che condussero Raffaello alla morte
Ricerca condotta dalle
alunne
Simona Raimo e Angela Spinelli
coordinate da Evandro Grammatico
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20_DONNE_ed_ARTE_RAFFAELLO.pdf
Urbino, fin dalla seconda metà del ‘400, città di enorme
levatura artistica, non soltanto per la cerchia neoplatonica della corte
di Guidubaldo da Montefeltro, che la trasforma da capoluogo di una
piccola signoria in capitale di uno stato, ma anche per la visione delle
prospettive cristalline, della razionalità matematica, della solenne
idealizzazione di Piero della Francesca, delle architetture chiaramente
misurate di Luciano Laurara e di Francesco di Giorgio. Un luogo ideale,
quindi, per attirare le attenzioni di un giovinetto di undici anni che,
già a partire da quest’età, cerca di assorbire tutto ciò che essa può
offrirgli: non c’è opera che lui abbia visto, non c’è maestro che abbia
conosciuto, del quale non risenta in maniera chiaramente riscontrabile e
del quale non si arricchisca rivivendo personalmente tutti gli elementi
con cui è venuto a contatto. Costui è Raffaello Sanzio (cognome derivato
dalla latinizzazione di quello italiano Santi), figlio del modesto ma
stimato pittore Giovanni Santi il quale “cominciò
ad esercitarlo nella pittura, vedendolo a cotal arte inclinato”, come ci
riferisce Giorgio Vasari, suo contemporaneo. Apprendendo dal padre “il
segreto dei colori” e assorbendo dalla corte d'Urbino, nella quale era
stato condotto, la cultura umanistica, il piccolo Raffaello sembra
essere pittore precocissimo. Quando Giovanni muore, nel 1494, lascia un
figlio completamente solo, mancandogli infatti già la madre, che viene
affidato allo zio Bartolomeo, sacerdote. Prima di morire, Giovanni
doveva essersi già accorto della bravura del figlio se gli aveva trovato
uno tra i maestri più importanti dell’epoca, Pietro Vanucci, detto il
“Perugino”, presso il quale Raffaello comincia l’apprendistato. Molti
storici concordano con l’affermare che egli debba aver precedentemente
già studiato in quella di Timoteo della Vite oppure di Evangelista di
Pian di Meleto, per poi trasferirsi, solo intorno al 1500, a Perugia
nella bottega del noto pittore, liberandosi definitivamente dalla
ristretta cerchia provinciale e inserendosi, per la prima volta, nelle
grandi correnti del rinascimento italiano. Pur considerando l’ultima
ipotesi, il giovanissimo allievo doveva possedere un’eccezionale
personalità artistica se, già nel periodo della formazione, in cui è
comune a tutti esser influenzati da contatti culturali, dimostra di
essere in grado di assimilare gli studi del suo maestro in un rapido
percorso riscontrabile fin dalle sue prime opere, la predella della
Pala del Beato Nicola da Tolentino, Le tre Grazie, Il
sogno del cavaliere, in cui, sotto un alberello d’alloro, un
cavaliere sogna la Virtus e la Voluptas, due attraenti e desiderabili
fanciulle, armonizzate in lui secondo i dettami della cultura
neoplatonica. Questi dipinti mostrano, inoltre, una sicura padronanza
dei rapporti armonici ereditati dall’antichità classica, la tendenza a
semplificare la composizione accentuandone l'impianto architettonico.
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L’opera è così improntata ad un nuovo sentimento dello spazio nel quale
le figure umane acquistano, nella chiara luminosità del tessuto
cromatico e nell'armonico equilibrio delle misure e dei gesti, un valore
di bellezza immobile, ideale e insieme naturalissima che fanno, del
nostro giovane pittore, il sommo rappresentante dell'ideale sereno del
Rinascimento. La sua attività continua ad affermarsi dallo Stendardo
della Trinità e la Crocifissione di Mond, all’Incoronazione
della Vergine, al primo programmatico capolavoro, lo Sposalizio
della Vergine per la chiesa di S. Francesco a Città di Castello. Il
valore coloristico e compositivo dell'architettura di fondo, in quest’opera,
denota la mano di un artista già profondamente capace di superare lo
stesso Perugino con quel ritmo compositivo fluido e ondulato e quelle
modulazioni cromatiche degne di un maestro. Quasi a segnare la
conclusione di un’esperienza ormai compiuta, nel 1504, Raffaello lascia
la bottega con il titolo di “magister”, che gli dà la possibilità di
esercitare l'attività di pittore, e si trasferisce a
Firenze,
pur continuando a viaggiare e a lavorare in vari luoghi d’Italia, col
desiderio di ottenere committenze e fama, entrando in contatto con un
ambiente estremamente vivo e stimolante, dove sono attivi due grandi
artisti che avrebbero con lui formato la triade del genio rinascimentale
italiano: Michelangelo e Leonardo.
La città appare
dunque ricca di fermenti culturali, di accese polemiche , ed è un centro
vivissimo diviso tra la vigorosa concezione plastica di Michelangelo e
la geniale concezione artistica di Leonardo che, realizzando la
Gioconda, sta portando al massimo grado le sue ricerche sui valori
atmosferici. Il pericolo al quale non sempre gli artisti contemporanei
riusciranno a sfuggire, trovandosi di fronte a due personalità così
diverse e così definite, è di soggiacere alla tentazione di imitare
l’uno o l’altro, oppure di cercare un compromesso. Raffaello si muoverà
seguendo una terza strada: osserverà infatti la drammaticità dei corpi
in movimento di Michelangelo ma alla sua “ricerca dell’idea preesistente
entro il blocco di marmo” sostituirà quella del filtraggio, di un
processo continuo di selezione, dell’immagine concreta per giungere
all’immagine ideale. Egli scriverà: “Il
pittore ha l’obbligo di fare le cose non come le fa la natura, ma come
ella le dovrebbe fare”, inoltre osserverà il senso cosmico della realtà
rappresentato nel breve spazio di un quadro, il mistero dei moti
dell’animo umano nella luce
di Leonardo, ma preferirà contrapporgli ampi e freschi paesaggi, la
geometria di eteri alberelli, spruzzi radi di foglie, discreti,
silenziosi assi di simmetria. Il tema della Madonna col Bambino, sarà
quello a tornare di più, accanto ai numerosi ritratti, nell’arte di
Raffaello, ma, pur essendo anche quello più comune nell'arte italiana,
egli saprà ritrarlo innumerevoli volte senza renderlo mai monotono: di
questo periodo sono la Madonna Terranova inserita in un tondo, la
Madonna del Granduca,
la piccola Madonna Cowper, la Sacra famiglia e la
Madonna di Orleans. Tra il 1505 e il 1508 esegue inoltre grandi
tavole che rappresentano la Madonna del Cardellino, la Madonna
del prato e la cosiddetta Bella giardiniera. Numerose sono,
infine, le tavole di devozione privata: nel 1506, la famiglia Dei gli
commissiona la pala d'altare per la Chiesa di Santo Spirito, la
Madonna del baldacchino, e, in
“quel rivoluzionario passaggio dalla struttura compositiva
tradizionale alla concezione dinamica dello spazio”, Raffaello
concepisce la pala della Deposizione
Baglioni-Borghese. Essa è la prima rappresentazione in forma di
pala d'altare che mostri il corpo di Cristo trasportato alla tomba,
soggetto riservato sinora alle predelle o agli affreschi. Il movimento
complessivo parte dall'interno di ciascuno dei corpi, dal loro
epicentro, che non è più quello della composizione, coincidente cioè con
il punto di fuga prospettico. L’artista non rappresenta le figure ai
lati dell'immagine centrale che avevano il compito di guidare lo sguardo
verso il fulcro prospettico in cui era collocato l'oggetto della
contemplazione e
dinamicizza e rivoluziona il tema della Deposizione anticipando quel
perfetto equilibrio tra pittura di natura e di storia, tra tono elegiaco
ed epico, che preluderà alla cifra stilistica della maturità: la
decorazione delle Stanze vaticane.
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La
fama del pittore è, infatti, giunta a Roma, dove il Papa Giulio II gli
affida quest’incarico licenziando tutti gli altri pittori. I lavori
cominciano nel 1508 dalla stanza detta della Segnatura che ospita la
biblioteca privata del Papa. Qui dipinge gli affreschi della
Disputa del sacramento,
della
Scuola di Atene
e il Parnaso. Tra il 1511 e il 1513 gli vengono affidati gli
affreschi della seconda stanza in Vaticano detta di Eliodoro.
Mutato il clima culturale della corte papale con la successione di Leone
X, pontefice di interessi eruditi e classicheggianti, Raffaello si fa
interprete delle nuove tendenze, divenendo, poco più che trentenne, il
principe indiscusso della scena artistica romana, accolto nei circoli
letterari e umanistici. Egli assume un numero incredibile di incarichi e
di mansioni pittoriche, architettoniche e archeologiche, tanto da
doversi creare una vastissima bottega imprenditoriale e doversi servire
dell'opera di collaboratori cui si deve in gran parte la realizzazione
degli affreschi della terza Stanza. Accanto ai
lavori destinati al Papa, ne esegue altri per i nobili della corte, come
il banchiere Chigi, per il quale affresca il
Trionfo di Galatea,
ispirato ad architetture antiche descritte in testi letterari. La
sua conoscenza dell'arte classica spinge il Papa a nominarlo
conservatore delle Antichità di Roma e ad affidargli l'incarico di
rilevare la pianta della città di Roma antica della quale oggi non ci
resta più nulla, ma l'importanza del rapporto che l’artista aveva con
l'arte romana è visibile in opere come l'appartamento Bibbiena, la
Loggia di Psiche, le logge di Leone X e la loggetta in Vaticano, dove
tutte le decorazioni sono ispirate a modelli romani. Tra le ultime opere
abbiamo il Doppio ritratto del Louvre, la Visione di Ezechiele
a Palazzo Pitti a Firenze e la
Trasfigurazione
alla Pinacoteca Vaticana a Roma, iniziata nel 1517, rimasta interrotta
dalla morte dell'artista e quindi portata a termine da Giulio Romano e
da Gian Francesco Penni, gli allievi maggiori la cui mano è, del resto,
ormai largamente presente in tutti gli affreschi e nelle ultime opere
del periodo romano, quasi a testimonianza dell'immenso lavoro gravante
sulle spalle dell'artista prediletto dalla corte papale, la più
importante e significativa perché qui Raffaello sviluppa e accentra le
sue indiscusse tecniche artistiche. Contemporaneamente a queste opere
del periodo romano, in parte da considerarsi egregia e interessante
raccolta di ritratti, sono altre scene sacre e altre immagini di
illustri e ignoti personaggi. Ricordiamo la Madonna del Diadema,
la Madonna d'Alba, la Madonna Sistina, la
Madonna di Foligno, la Madonna della Tenda, la
Madonna del Pesce, l’ Estasi di Santa Cecilia, le Sibille
in S. Maria della Pace, S. Giovanni Battista nel deserto, la
Sacra Famiglia detta di Francesco I. L'interesse per la gran
produzione pittorica raffaellesca non deve far dimenticare l’attività
come architetto: in questo campo richiama inevitabilmente lo stile del
Bramante mantenendo anche qui quella sovrana armonia compositiva che è
presente nella maggior parte delle sue opere pittoriche. Tra le
sue opere architettoniche, interessanti per le pratiche soluzioni di
ricerca spaziale, sono da ricordare a Roma la Cappella Chigi in
S. Maria del Popolo ed il Palazzo Pandolfini a Firenze.
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I ritratti rimangono per lui un'attività secondaria
soprattutto dopo il trasferimento a
Roma,
quando è obbligato a dedicare quasi tutto il suo tempo ai grandi
progetti vaticani. Oltre ai papi e ad altri personaggi celebri
dell’epoca (come Bindo Altoviti
e Baldassar Castiglione), l’artista ha per modelli per lo
più persone della sua cerchia di amici, molte delle quali sconosciute,
come la Fornarina (di cui si
avrà modo di parlare in seguito). Uno degli incarichi più
importanti che riceve dal Papa è la serie di dieci arazzi con scene
della vita di
San Pietro
e di
San Paolo
destinati alla
Cappella Sistina.
I cartoni realizzati vengono inviati a
Bruxelles
per essere tessuti nella bottega di Pier van Aelst e i primi tre arazzi
eseguiti arrivano a Roma nel
1519. È
possibile che Raffaello veda la serie completa installata nella Cappella
Sistina prima di morire nel 1520, mentre la vede certamente Leone X che
morì l'anno seguente.
Raffaello vive in un periodo in cui l'arte del disegno
sta attraversando una fase di transizione ed in cui la punta d'argento e
la penna, utilizzate ai tempi della sua gioventù, sono sostituite dal
gesso, rosso o nero. Reso popolare da
Leonardo,
Raffaello è padrone di tutte le tecniche del disegno del suo tempo ed è
l'ultimo grande esponente italiano della punta d'argento che continua ad
utilizzare fino al
1515 circa,
quando viene già abbandonata da gran parte degli artisti di maggiore
prestigio.
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Raffaello è nato il 6 aprile del 1483 e trentasette anni
dopo, il 6 aprile 1520, egli si spegne nella sua bella casa, davanti
alla tavola del suo ultimo capolavoro, la Trasfigurazione, nella
Roma dei papi e dei principi della Chiesa per i quali ha lavorato dodici
anni come sommo pittore e architetto. Secondo sua disposizione
testamentaria, è deposto nell’edicola della Madonna del Sasso nel
Pantheon che, se fosse una piccola chiesa senza storia, disadorna e
nascosta, la sua sola tomba basterebbe a renderla insigne e famosa al
mondo: ad attrarre ad essa il pensiero e il passo di chiunque apprese in
vita il nome del grande artista.
Intanto, per le vicende e i restauri avvenuti nella Chiesa, l'epigrafe,
unico segno della tomba di Raffaello, viene portata altrove; si
smarriscono così le tracce dell'ultimo suo riposo. In seguito, nel 1833,
scavando alla base della statua della Vergine, dentro l’edicola, vengono
ritrovate le sue ossa, riseppellite in una nuova cassa e collocate sotto
l’altare, che l’immortale artista aveva designato a sua ultima dimora;
la sorte vuole che la memoria di Raffaello, dopo aver brillato un
istante di degna luce, scompaia di nuovo, non lasciando di se alcun
segno visibile e facendo spegnere la sua memoria nel Pantheon. Viene
traslocata, col tempo, dal lato sinistro dell'Edicola del Sasso, anche
un'altra epigrafe connessa intimamente colla memoria di Raffaello,
quella intitolata a Maria Bibbiena, presunta fidanzata del Sanzio. La
giovinetta, nipote del cardinale Divizio di Bibbiena, abita nella via
de’ Leutari dove la famiglia possiede una casa. Il cardinale ha offerto
sua nipote in moglie a Raffaello, inteso allora ai grandi lavori di S.
Pietro e delle stanze Vaticane. Sia per ambizione, o piuttosto per
timore di offendere con un rifiuto il prepotente Cardinale, Raffaello
acconsente all’onorevole proposta, rinnegando la propria intima
inclinazione alla vita libera di artista. Sulla metà del 1514 le cose
sono alle strette: Raffaello è quasi obbligato a sposarla e la
giovinetta Maria si esalta al pensiero di diventare sposa al primo
pittore del mondo. Conosce ella la vita intima di Raffaello? Sa che
durante le trattative del matrimonio, un'altra donna, eternata da lui,
sotto diverse sembianze, in tele sublimi, è legata al fidanzato pittore?
Chi è questa donna che Raffaello ha amato tutta la vita? Non lo sappiamo
con sicurezza: probabilmente si tratta di Margherita Luti, la figlia di
un fornaio e a questo è dovuto il soprannome di “Fornarina”. Qualche
altro studioso dice invece che questo soprannome non aveva niente a che
vedere con il “pane” ed era il nome d’arte di una prostituta, forse la
celebre Imperia, amante di Agostino Chigi, o forse la non meno famosa
Beatrice Ferrarese. Qualunque sia la vera identità di questa donna, il
suo volto è stato dato a numerose figure
femminili nelle opere del pittore, comprese parecchie Madonne, nel
ritratto conosciuto come la Velata (1516) (fig.1),
e infine nella famosa tavola la Fornarina (fig.2), conservata a
Palazzo Barberini, a Roma, che può meglio parlarci di lei e della sua
vicenda affettiva con l’artista. “Purissimo ritratto matrimoniale che ha
il biancore di un velo di sposa”, il dipinto
rappresenta una donna che cerca di coprirsi il seno con un velo
trasparente, che porta un turbante sulla testa e un bracciale autografo.
L’artista aveva dipinto la donna dal vivo, direttamente con i colori e
senza fare un disegno preparatorio; ne risulta un ritratto privato,
fatto da un amante alla sua amata, o forse alla sua sposa, essendo
infatti la donna raffigurata con un anello all’anulare sinistro (fig.3).
A conferma del segreto matrimonio, alcune storie narrano di una certa
vedova Margherita che, a quattro mesi dalla morte di Raffaello, sembra
sia stata accolta nel convento di Sant’Apollonia in Trastevere.
Raffaello era così innamorato di questa giovane che, quando non poteva
vederla o lei non gli era vicino, non aveva pace e non riusciva nemmeno
a lavorare. Si dice che quando il pittore doveva dipingere la “Galatea”
nella villa del banchiere Agostino Chigi, non riusciva proprio a finire
l’opera perché la sua amata gli mancava troppo. Agostino non aveva altra
scelta: la invitò a
stare per un pò nella villa e Raffaello riprese immediatamente il suo
lavoro con energia per portarlo a termine.
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A diffamare quest’aspetto del suo carattere Giorgio
Vasari racconta che Raffaello era “persona molto amorosa e affezionata
alle donne” e ai “diletti carnali”: il pittore della bellezza ideale
amava molto, perciò, anche la bellezza terrena. Anche mentre dipingeva
scene religiose i pensieri erano poco spirituali: alcuni suoi sonetti
d'amore sono stati trovati scritti accanto a disegni di carattere sacro.
Vasari, inoltre, espone le cause della sua morte prematura che le
cronache dell’epoca non erano riuscite a chiarire: il decesso fu
addirittura dovuto, secondo lo storico, agli eccessi amorosi. Dopo una
nottata particolarmente smodata, l'artista, colto da febbre, non confida
ai dottori la causa del malore e, invece che a cure ricostituenti, viene
sottoposto a salassi, morendo, poi, nel giro di soli alcuni giorni. Ma
anche questa storia sulla morte di Raffaello è forse solo una maldicenza
che non possiamo dare per certa: secondo qualche altro, infatti,
l’artista è morto a causa di una polmonite. Ciò che è invece importante
è che egli è un classico che appartiene ad ogni tempo e ad ogni
pubblico; Pietro Bembo commenterà la sua morte dicendo: “Quando
Raffaello era in vita la Natura temette di essere vinta e ora che è
morto teme di morire”. Sono parole molto significative che ci permettono
di comprendere come l’artista, alla sua morte, fosse già entrato nella
leggenda: forse nessun altro è stato nel tempo altrettanto amato e
idealizzato, ma proprio per questo la sua opera, che ha goduto
d’ininterrotta fortuna dal classicismo secentesco in avanti, ha subito
notevoli deformazioni interpretative, sia nell'accentuazione dei valori
formali volti in accademia (dai neoclassici ai puristi), sia nelle
forzature spiritualistiche e romantiche (dai nazareni tedeschi ai
preraffaelliti inglesi). Tutta la critica moderna ha invece voluto
sottolineare la portata storica dell'opera di Raffaello Sanzio
nell'ambito della complessa situazione culturale del Rinascimento.
Riguardo infine alle sue splendide figure femminili,
resta aperta una domanda: donne o madonne? In realtà, a ben guardare le
protagoniste delle sue opere, s’intuisce che per l’artista il problema
non esisteva. Divino e umano erano per lui la stessa cosa.. La natura e
la materia erano vinte nella luce della pittura, in una naturalezza e in
una materialità nuova che portava una firma sola: Raphael Urbinas.
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