| |
Erasmo e lo spirito del secolo XVI
a cura di Franco Festa
Per consultare l'intero
articolo cliccare sull'allegato file PDF
15_ERASMO_E_LO_SPIRITO_DEL_SECOLO_XVI.pdf
LA VITA E LE OPERE
Geer Geertsz (vero nome di Desiderio Erasmo) nacque la notte dal 27 al
28 ottobre 1466 a Rotterdam e si formò, sin da adolescente, agli studi
classici ; prese i voti a Steyn il 1488 e fu canonico agostiniano;
legami dai quali fu liberato solo ventinove anni dopo.” Ma già
dimostrava una sensibilità eccessiva, femminea, la quale, unita
al culto per l'arte antica, gli rese odioso il convento e ripugnante la
barbarie dei tempi”.(Tommaso Fiore).
Dal 1493 condusse varie battaglie: proseguire i suoi studi,
apprendendo il greco, trovare dei mecenati che gli consentissero di
vivere, senza asservirsi, dedicarsi alle sue pubblicazioni,
approfittando dello sviluppo della stampa, per continuare la polemica
umanistica. Nel secondo periodo della sua vita, dal 1495 al 1521, il suo
centro è Parigi, nel terzo e ultimo la libera Basilea e, dal '29,
Friburgo. Ma a Parigi non resta a lungo, in cerca di una sistemazione
economica; dopo i primi anni molto duri, vive con doni e pensioni un
po' da tutti, da privati come da papi, da re e dall'Imperatore, si
piega anche ad eleganze adulatorie, senza però tradire la sua missione.
In ogni caso, o per ragioni di studi o per serbare la sua indipendenza,
è sempre pronto a rimettersi in cammino. Nel 1499 è in Olanda e poi in
Inghilterra, dove conosce il Colet e Tommaso Moro; l'anno seguente un
nuovo viaggio in Olanda, poi la prima dimora a Lovanio (1502-504), dove
però non insegna per non legarsi, e nel 1505 di nuovo in Inghilterra.
Segue il viaggio in Italia (1505-509), dove, se è nominato teologo,
tutto il suo interesse è per gli studi e la stampa, e risiede quasi
sempre a Venezia, presso Aldo Manuzio. Di seguito è la sua terza lunga
dimora in Inghilterra (1509-1514). Ora è ormai famoso. E solo ora, come
non è piú frate, tutti se lo contendono con offerte varie, Francia,
Spagna, Sassonia; l'ammirazione per lui non ha limiti o contrasti, egli
domina intellettualmente l'Europa, sino alla polemica luterana.
Il primo suo scritto è l'Antibarbari, dove c'è
già «in nuce » tutto il suo spirito; poi comincia i Colloquia
che arricchisce sempre piú, e già nel 1500 appaiono gli Adagiorum
Collectanea, che s'ingrossano di anno in anno col nome di Adagia:
collezione di detti, allusioni, proverbi, modi di dire, aneddoti latini
e greci, che rendono popolare la nuova cultura. Nel 1505 pubblica
coraggiosamente le Annotationes del Valla al Nuovo Testamento.
Nel 1509, durante il viaggio in Inghilterra, nasce la sua opera più
famosa, l’
Elogio della pazzia,
ristampato molte volte, alla quale sono affini per contenuto i Colloquia familiaria pubblicati nel 1524. A Basilea pubblica nel
1516 il Novum Instrumentum, cioè il Nuovo Testamento,
testo greco riveduto ed annotato, con una traduzione latina che corregge
le libertà della Vulgata. Alla polemica antiluterana appartiene il
De libero arbitrio, apparso nel 1524. Il tanto discusso
Ciceronianus, del '28, è una battaglia contro il pericolo
che l'Umanesimo trascuri gl'interessi religiosi. Seguono nel '35 l'Ecclesiastes,
sul modo di predicare.
Vive ormai in Svizzera, anche se altre e maggiori offerte gli
vengono fatte da Roma; il 12 luglio 1536 egli muore, in piena coscienza,
senza chiedere un confessore.
|
Metsys”Ritratto di Erasmo da Rotterdam”, 1517 |
IL PENSIERO
Erasmo usa la satira e il sarcasmo per mettere a nudo la
decadenza morale del mondo del suo tempo e specialmente della chiesa. Ma
la critica di Erasmo non è negativa e distruggitrice, ma positiva, e
mira a ricondurre la vita umana alla semplicità e alla purezza del
cristianesimo primitivo. Significativo, a questo proposito, è
soprattutto l'Elogio della pazzia.
La pazzia è per Erasmo l'impulso vitale, la beata incoscienza,
l'illusione, l'ignoranza contenta di sé - in una parola la menzogna
vitale.
L'intera vita umana singola ed associata si fonda su menzogne, illusioni
o imposture, che velano la cruda realtà e costituiscono l'attrattiva
maggiore della vita stessa. Ed Erasmo, introducendo a parlare la Pazzia
, può squarciare il velo di quelle menzogne e mostrare la realtà che
esse celano.
La terza parte dell’opera è quella più sarcastica e feroce.
Quando parla di quei pazzi « i quali confidando in certi
piccoli segni esteriori di devozione, in certe filastrocche, in certe
orazioncelle inventate da qualche pio impostore per suo divertimento o
interesse, si tengono sicuri di godere di inalterabile felicità e di
occupare in paradiso un posto distinto»; o di chi crede che «non
ha che a gettare una piccola moneta sopra un vassoio ed eccolo mondo e
netto da tante rapine come quando è uscito dal fonte battesimale» -
pronuncia una condanna delle indulgenze e di ogni pratica di
devozione formale altrettanto decisa di quella che pronuncerà
Lutero. E quando la Pazzia attribuisce a Cristo queste parole: «Apertamente
e senza parabole ho promesso in altri tempi l'eredità del Padre mio non
alle tonache, non alle orazioncelle, non all'inedia, sibbene
all'osservanza della carità», è evidente la svalutazione delle
opere e l'esaltazione della fede che sarà l'insegna stessa della
riforma luterana.
Di contro alle opere meritorie, alla religiosità formalistica,
sta secondo Erasmo la religiosità vera, che è fede e carità,
secondo gli insegnamenti degli Evangeli. E questo insegnamento è
contrapposto al papato stesso.
Tutti i terni della polemica protestante contro la Chiesa si
trovano già nell'opera di Erasmo. I suoi scritti sono polemicamente
diretti contro la cultura teologica che addestra alle dispute dottorali
ma non promuove né rafforza la fede religiosa.
La perfezione cristiana non è nel genere di vita ma nei
sentimenti; è nell'anima, non nei vestiti e nei cibi
. L'arma principale del milite cristiano è la lettura e
l'interpretazione della Bibbia. Erasmo consiglia di scegliere come
guida quegli interpreti che più si allontanano dalla lettera dei libri
sacri. Al di là della lettera bisogna raggiungere lo spirito, giacché
solo nello spirito è la verità. Proprio da questo ritorno alla lettura e
all'intendimento della sacra scrittura, Erasmo si attende il
rinnovamento dell'uomo, quella riforma o rinascita che è la
restaurazione dell'autentica natura umana .
La rinascita che solo la parola di Cristo può determinare è
contrapposta da Erasmo alla sapienza teologica che dà l'abilità nelle
dispute ma non la fede né la carità. Perciò Erasmo rivolge la sua
attività di filologo, oltre che al Nuovo Testamento, ai Padri della
Chiesa, la cui dottrina gli sembra ispirarsi direttamente alle fonti
del cristianesimo, mentre ripudia e disprezza la speculazione
scolastica come quella che ha smarrito, disputando oziose questioni, il
senso originario del cristianesimo. Alle cerimonie, ai digiuni e alle
opere meritorie. Erasmo oppone i due capisaldi dell'insegnamento di
Cristo: la fede e la carità. «Sfoglia tutto il Nuovo Testamento,
egli dice, non vi troverai nessun precetto che concerne le
cerimonie. Dove si fa parola di cibi e di vesti? Dove si fa menzione di
digiuni e simili cose? Il precetto di Cristo invoca soltanto la carità.
Dalle cerimonie nascono i dissidi, dalla carità la pace».
|
Nelle critiche ora accennate sono ovviamente contenuti molti
germi di quelle che saranno le principali obiezioni dei protestanti alla
chiesa cattolica nel campo etico.
E’ il filosofo Abbagnano che delinea mirabilmente il
contesto:
“ Erasmo aveva stabilito i presupposti teoretici della
Riforma e, quel che più conta, ne aveva chiarito il concetto
fondamentale: quello di un rinnovamento radicale della coscienza
cristiana mediante il ritorno alle fonti del cristianesimo. Ma il suo
cómpito doveva fermarsi qui. Umanista abituato a muoversi nel mondo
dei dotti, partecipe dell'ideale umanistico di una pace religiosa
universale, nella quale trovassero conciliazione e concordia le diverse
esperienze religiose del genere umano, egli non poteva realizzare la
portata rivoluzionaria della sua dottrina , non poteva riconoscere la
propria azione nell'opera di Lutero, che di quei principi si avvaleva
per sommuovere forze politiche e sociali, tutto un mondo che appariva
ad Erasmo estraneo e sordo alla vita della cultura”.
Perciò, quando il 28 marzo 1519 Lutero gli indirizzò una
lettera chiedendogli di pronunciarsi pubblicamente in favore della
Riforma, Erasmo, pur approvando i principi da cui Lutero muoveva, si
rifiutò di seguirlo e di incoraggiarlo nell'opera rivoluzionaria che in
nome di quei principi Lutero aveva iniziata. Nella lotta che il
movimento riformatore scatenò, Erasmo volle rimanere neutrale; e tale
rimase sostanzialmente, nonostante qualche opportunistica concessione
alla Chiesa.
Il rifiuto di Erasmo non è un fatto che riguardi soltanto le
sue vicende personali, ma un fatto di notevolissimo rilievo per tutta
la cultura europea.
Esso pone nella massima evidenza la reale, insuperabile antitesi che
effettivamente esisteva, malgrado ogni apparente convergenza, fra
concezione umanistica e concezione protestante della religione.
La prima infatti tendeva ad avvicinare sempre più Dio al mondo
e ad esaltare il valore dell'uomo, concepito come natura libera,
fornita per se stessa delle forze necessarie onde elevarsi a Dio e
raggiungere la beatitudine; la seconda, invece, tendeva a mettere in
risalto via via maggiore la dipendenza dell'anima umana da Dio,
l'origine divina di ogni nostro impulso veramente buono. È vero che la
convinzione di questa dipendenza dava all'uomo una forza nuova (se la
grazia deriva direttamente da Dio, chi possiede la grazia dovrà pure
possedere il sostegno divino per attuare il bene); tale forza però, che
non trae origine dall'uomo, era qualcosa di interamente estraneo alle
linee del pensiero umanistico.
Proprio intorno al problema del libero arbitrio
Erasmo, infatti, attaccò la Riforma.
Nella Diatribe de libero arbitrio (1524) egli enumera i
motivi che spingono ad ammettere la libertà, definita come «la forza
della volontà umana per la quale l'uomo si può rivolgere alle cose che
conducono alla salvezza eterna o può distogliersi da esse».
|
La libertà umana è, per Erasmo, libertà di salvarsi; e che
l'uomo abbia la capacità di salvarsi è dimostrato dal rilievo stesso che
nelle sacre scritture hanno i concetti di merito, di giudizio e di
punizione. Non avrebbero senso le prescrizioni, le minacce, le promesse
divine, se l'uomo non fosse libero. Anche la concessione della grazia,
risolvendosi in un aiuto divino alla volontà umana, presuppone la
libertà; e così la presuppone la preghiera, che non avrebbe senso se non
fosse essa stessa manifestazione di una volontà di salvezza. Erasmo
riconosce che ricorrono nella Bibbia, e soprattutto nelle lettere
paoline, espressioni che sembrano negare il libero arbitrio; ma vede in
queste espressioni il sentimento proprio della coscienza religiosa che
fa derivare ogni merito umano da Dio.
L'opposizione Erasmo-Lutero non ha solo un significato
teologico-filosofico; essa celava in realtà anche un'altra grossa
questione di ordine politico-sociale. Erasmo era un dotto filologo, un aristocratico umanista, non uno
spirito rivoluzionario. La sua mentalità cosmopolita lo portava a
sentirsi vicino a tutti gli spiriti colti dell'epoca ed a condividere
con essi i più raffinati problemi filosofico-letterari, non a mescolarsi
nelle lotte concrete tra paese e paese o fazione e fazione, dominate da
interessi tutt'altro che puramente culturali. Se pertanto sostenne
apertamente, come gli uomini più illuminati del secolo, la necessità di
una riforma della chiesa, lo fece soltanto da un punto di vista morale,
senza rendersi conto delle gravissime questioni di altro genere che essa
avrebbe sollevato. Ciò che egli vagheggiava era una riforma lenta,
graduale, senza sovvertimenti: completamente diversa, insomma,
dall'azione decisa e concreta di Lutero, basata sulla stretta
connessione tra aspirazioni religiose e problemi politico-economici
della Germania. Posto di fronte alle conseguenze storiche di quest'azione,
Erasmo si sgomentò e volle scindere completamente la propria
responsabilità.
Come giustamente sottolinea Geymonat, “Il rifiuto di
Erasmo può davvero considerarsi come uno dei fatti più significativi
della storia culturale del Cinquecento. Esso dimostra incontestabilmente
l'avvenuto divorzio tra cultura e politica. Dimostra, cioè, che l'azione
in cui si trovava impegnato l'umanesimo e quella in cui si trovava
impegnata la riforma, si svolgevano ormai su piani ben distinti e tra
loro, inconfondibili: muovendosi la prima nelle astratte sfere della
cosiddetta “repubblica letteraria”, la seconda, invece, nel campo più
complesso dei problemi vivi e reali. Agli umanisti mancò il coraggio di
spostarsi da un piano all’altro, perciò il loro movimento si rinchiuse a
poco a poco in se stesso e finì per isterilirsi completamente”.
|
|
|
|
|
|
|