| |
Viète e l'algebra simbolica
a
cura
di Franco Festa
Per consultare l'intero
articolo cliccare sull'allegato file PDF
VIÈTE E L’ALGEBRA SIMBOLICA
Benchè
l’algebra fosse una disciplina antica, alla fine del XVI secolo essa non
solo non era ben distinta dall’aritmetica ma anche non aveva basi
logiche solide. La storia dell’Algebra si può dividere in tre periodi:
1)
algebra retorica , anteriore a Diofanto di Alessandria (250 d.C.)
nella quale si usa esclusivamente il linguaggio naturale, senza
ricorrere ad alcun segno;
2)
algebra sincopata, da Diofanto fino alla fine del XVI secolo, in
cui si introducono alcune abbreviazioni per le incognite e le relazioni
di uso più frequente, ma i calcoli sono eseguiti in linguaggio naturale;
3)
algebra simbolica, introdotta da Viète (1540-1603), nella quale
si usano le lettere per tutte le quantità e i segni per rappresentare le
operazioni, si utilizza il linguaggio simbolico non solo per risolvere
equazioni ma anche per provare
regole
generali.
E’ proprio su
Viète che vogliamo, in questa nota, appuntare la nostra attenzione.
Nella seconda metà del Cinquecento, in Europa occidentale ,
l'algebra degli arabi era stata completamente assimilata e ulteriormente
sviluppata sia attraverso la soluzione generale delle equazioni di
secondo e di terzo grado, sia attraverso un impiego parziale del
simbolismo. I tempi erano quasi maturi per potere fare rapidi progressi.
La figura centrale e più eminente di questo
periodo fu il matematico francese Francois Viète, noto anche con
il nome latino di Franciscus Vieta.
|
|
Figlio di un agiato procuratore, Viète
studia diritto presso l’Università di Poitiers e nel 1560 si iscrive al
foro di Fontenay ed esercita l’avvocatura. Nel 1576 entra al servizio
del Re Enrico III di Francia e nel 1580 diventa maître des requêtes
al parlamento di Parigi e consigliere speciale di Enrico di Navarra, il
futuro re Enrico IV di Francia, incaricato di decifrare i messaggi
cifrati degli spagnoli con un procedimento basato sopre una chiave di
oltre 500 caratteri. La sua abilità in questi compiti è tale che gli
spagnoli lo accusano di essere in combutta con il diavolo. Nel 1590
pubblica il suo metodo di decifrazione. Tra il 1584 e il 1589 egli viene
allontanato dal potere per le pressioni della Lega Cattolica in quanto
ugonotto. È questo il periodo, insieme a quello tra il 1664 e il 1568,
nel quale riesce a dedicarsi maggiormente alla matematica. Nel 1594
entra al servizio di Enrico IV e si converte al cattolicesimo. Lascia
questo servizio nel 1602 e muore l’anno seguente.
Fu senza dubbio nel campo dell'algebra che
Viète diede i suoi contributi più validi: fu infatti qui che più si
avvicinò al punto di vista moderno. L 'algebra, durante il periodo
arabo e all'inizio dell'età moderna, non aveva fatto molti progressi e
così sarebbe continuato ad essere, fintanto che, ad esempio, l’
incognita fosse ancora definita come "la cosa" , in una
equazione con coefficienti numerici specifici. Era stata sviluppata una
notazione simbolica e abbreviata per indicare l'incognita e le potenze
dell'incognita, oltre che per esprimere le operazioni e la relazione di
uguaglianza. Si era giunti sino al punto di scrivere AAAA per indicare
la quarta potenza di una quantità incognita; e tuttavia non possedeva
nessuno schema per scrivere una formula generale che potesse
rappresentare un'equazione qualsiasi di una intera classe di equazioni
come, per esempio, una qualsiasi equazione di secondo o di terzo grado.
È vero che si erano usate lettere per rappresentare grandezze note o
incognite sin dai tempi di Euclide, ma non si era trovato nessun mezzo
per distinguere le grandezze che si assumeva essere note da quelle
quantità incognite che si dovevano trovare.
Qui Viète introdusse un principio
convenzionale che era tanto semplice quanto pratico. Usò una vocale
per rappresentare quella quantità che in algebra veniva assunta come
incognita o indeterminata, e una consonante per rappresentare una
grandezza o un numero che si assumeva come noto o dato. Abbiamo
qui, per la prima volta nell'algebra, una netta distinzione tra
l'importante concetto di parametro e l'idea di quantità incognita.
Se Viète avesse adottato altre notazioni simboliche esistenti
al suo tempo, avrebbe potuto scrivere tutte le equazioni di secondo
grado con l'unica formula BA2 + CA + D = 0, ove A è
l'incognita e B, C e D sono i parametri. Ma purtroppo egli era moderno
soltanto per certi aspetti, mentre per altri era ancora fedele alla
tradizione antica e medievale. La sua algebra è ancora un incrocio tra
sincopata e simbolica: infatti, sebbene adottasse i simboli tedeschi
+ e - per l'addizione e la sottrazione e usasse simboli
diversi per i parametri e per le incognite, per il rimanente usava
nella sua algebra espressioni verbali e abbreviazioni. La terza potenza
dell'incognita non veniva espressa con A3, e neppure con AAA,
ma con A cubus, e la seconda potenza con A quadratus. La
moltiplicazione veniva espressa con il termine latino in,
la divisione era indicata dalla linea di frazione, e per l'uguaglianza
Viète usava un'abbreviazione del latino aequalis. D'altra
parte non era possibile che il cambiamento completo fosse opera di un
solo uomo; esso venne realizzato per gradi successivi.
|
Approfondiamo ora gli aspetti del metodo di Viete.
Nel tentativo di sostituirle il termine arabo di algebra, che
non gli piaceva, Viète aveva osservato che in problemi che comportavano
la "cosa" o quantità ignota, si procedeva generalmente nella maniera
che Pappo e gli antichi avevano descritto come analisi. Ossia,
invece di procedere da ciò che è noto a ciò che si doveva dimostrare,
gli algebristi invariabilmente partivano dall'assunzione che
l'incognita fosse data e ne deducevano una conclusione necessaria dalla
quale era poi possibile determinare l'incognita. In pratica, l'analisi
deve essere seguita dalla dimostrazione sintetica.
Viète diede il nome di "arte analitica" a questa
disciplina.
Il trattato che fa da cardine a tutta l'opera viètiana è
infatti In artem analiticam Isagoge del 1591.
Da questo piccolo e fondamentale saggio traspare
quell'atteggiamento e quella visione d'insieme che in qualche modo
determinarono in Viète anche la concezione della geometria. Nell'Isagoge
sono descritti da un lato i metodi dell'analisi e dall'altro i
fondamenti delle tecniche di manipolazione algebrica.
Il Cap. I dell'Isagoge inizia facendo appunto riferimento ai
due classici metodi (dell'analisi e della sintesi). L'analisi - dice
Viète - fu inventata per le ricerche matematiche da Platone. L’ un
metodo mediante il quale si prende come concesso ciò che si domanda e si
giunge passo dopo passo ad una verità incontestabile. Nella sintesi al
contrario si parte da ciò che è assegnato per giungere all'obiettivo
che è la tesi, cioè a quel che si domanda.
Per Viète sono tre i tipi di analisi (ars analytica) che si
possono condurre in matematica: la Zetetica, la Poristica e la Retica
esegetica; i primi due - come afferma - erano noti anche agli
antichi (Pappo) , il terzo viene invece proposto da lui.
Volendo riassumere, lo schema metodologico viètiano consiste
in quanto segue.
(a) Enunciazione del
Problema (da «risolvere»).
(b) Zetetica: prima fase
dell'analisi che partendo dai dati del problema conduce ad una prima
uguaglianza o ad una proporzione. La parola zeteticum proviene dal
greco:vuol dire «cercare», «indagare». Pertanto zetetico sta per
problema.
(c) Poristica: seconda
fase dell'analisi. Dalla precedente uguaglianza (cioè da dove arriva la
Zetetica), sviluppando grazie alle regole algebriche, si giunge («ci si
apre») ad una nuova uguaglianza, dalla quale scaturisce la soluzione del
problema.
(d) Enunciazione del
Teorema, in base al risultato della Poristica.
(e) Sintesi: si procede
in modo inverso rispetto all'analisi, «dimostrando» cioè il teorema.
(f) Retica esegetica:
consiste nel dare un senso geometrico o aritmetico al risultato della
Poristica.
Viète afferma che l'Esegetica ci conduce a considerare le
formule letterali, ottenute ed espresse secondo la logistica speciosa,
come veri e propri precetti geometrici o aritmetici.
Le esemplificazioni numeriche da Viète riportate a conclusione
dello svolgimento di problemi (zetetici) o di questioni connesse alle
equazioni, costituiscono appunto la fase esegetica (numerica) del suo
metodo. Grazie proprio alla Retica esegetica, la geometria assume una
funzione essenziale, permettendo di sviluppare la Sintesi in modo
tecnicamente adeguato. Inoltre la Retica esegetica ha realmente senso
nella concezione algebrica viètiana, in cui le lettere (che non
esprimono solo incognite) sono suscettibili di varie interpretazioni.
|
Le tecniche di calcolo per le espressioni letterali vengono
esaminate in termini fondazionali nell'Isagoge ed
algoritmicamente nelle Notae Priores (pubblicate postume
nel 1631). Infatti Viète si preoccupa, nel primo di questi lavori, di
stabilire le «regole fondamentali» che estendono le quattro operazioni
aritmetiche al contesto simbolico-letterale. Nel Cap. Il dell'Isagoge
vengono ampliate e generalizzate (in chiave algebrica) le «nozioni
comuni» che si trovano negli Elementi euclidei ed i principi che
sovrastano la teoria delle proporzioni. Decisamente essenziale per
l'«impostazione geometrica» vièriana è il principio di omogeneità,
esposto nel Cap. III dell'Isagoge:
“Homogenea homogeneis comparari”.
Conformemente a questo principio, Viète scrive le equazioni
come relazioni ed uguaglianze geometriche, ad esempio così`:
G planum in A quad
- B solido in A - A quad. quad. aequatur Z plano plano.
Di norma le incognite vengono denotate da Viète con A e con E.
Quanto scritto, oggi lo renderemmo così:
In effetti già da questa scrittura si può intuire la
concezione teorica viètiana dell'algebra, lo spirito geometrico con il
quale viene costruito e rivisitato l'edificio algebrico.
Ma il cuore del «programma viètiano» sono gli
Zeteticorum libri quinque (1593) che rappresentano la
trattazione per eccellenza dell'arte analitica, la presentazione e la
risoluzione di problemi algebrici con ottica geometrica nell'ambito
della logistica speciosa.
Alla teoria delle equazioni algebriche Viète dedica il
De aequationum rècognitione (pubblicato postumo nel 1615) con
l'intento di esaminare, sempre alla luce della logistica speciosa, i
risultati degli algebristi del Cinquecento su questo argomento.
Proprio nel De recognitione troviamo l'aspetto più rilevante
dell'operazione teorica viètiana di geometrizzazione dell'algebra.
Questa viene sostanzialmente realizzata mediante la riduzione delle
equazioni ad opportuni zetetici. Infatti ridurre a zetetici significa in
ultima analisi ricondursi alla teoria delle proporzioni, cioè, tenendo
presente il libro V degli Elementi euclidei, alla forma più astratta
della geometria classica.
È in questo modo che, come potremmo dire, Viète getta un ponte
tra l'algebra e la geometria. Prima di lui tanto Diofanto quanto gli
algebristi del Cinquecento avevano presente per lo più gli aspetti
aritmetici dell'algebra, anche se, come sappiamo, vanno considerate le
costruzioni geometriche delle equazioni. Queste costruzioni ebbero
peraltro un ruolo teorico primario.
|
Come abbiamo detto, nel trattato De aequationum
rècognitione Viète si propone di studiare la riduzione delle
equazioni algebriche a zetetici. La relativa teoria viene sviluppata in
modo assai analitico contemplando una casistica ampiamente articolata.
Esamineremo ora di seguito un esempio relativo alle equazioni di secondo
grado
Nel Cap. III del trattato or ora menzionato troviamo il
seguente
Theorema I:
Si A quad + B in A,
acquetur Z quad.: sunt tres proportionales radices, quarum media est Z,
differentia vero extremarum B, et sit A minor extrema.
“Se A2 +B*A=Z
2, allora esistano tre grandezze in proporzione [continua],
la media delle quali è Z, inoltre B è la differenza delle estreme ed A è
l'estrema minore”
Questo teorema sta a
significare che l'equazione
dà luogo alla
proporzione:
(1)
dove
e
.
Infatti, partendo da
(1), abbiamo:
essendo
e quindi:
ossia
Proprio l'aver scelto nell'equazione assegnata «Z quad» e non
«Z plano», come sarebbe stato sufficiente per rispettare il principio
di omogeneità, rende possibile a Viète, come testimonia la (1),
scrivere agevolmente la proporzione cercata.
|
Va aggiunto che Viete considera solo coefficienti positivi.
Egli, pertanto, scrive a primo membro i termini contenenti l’incognita e
a secondo membro i termini rimanenti, che vanno scritti in ogni caso con
segno positivo.
I tre tipi possibili di equazioni di secondo grado sono allora
i seguenti:
,
tutti risolvibili mediante proposizioni continue.
In ogni caso la risoluzione di un’equazione di secondo grado è ricondotta
al problema geometrico concernente tre segmenti in proporzione continua.
.
La forma omogenea delle equazioni di Viète mostra come il suo
pensiero matematico fosse sempre strettamente aderente alla geometria.
La sua geometria, però, si collocava su quel livello superiore che
nell'antichità era stato esemplificato da Apollonio e da Pappo. Dando
un'interpretazione geometrica alle operazioni algebriche fondamentali,
Viète si rese conto che la riga e il compasso erano sufficienti a
costruire radici quadrate. Tuttavia, se si permetteva l'interpolazione
di due medie geometriche tra due grandezze, era possibile costruire
radici cubiche, o, a fortiori, risolvere geometricamente qualsiasi
equazione di terzo grado regolare, giacché questa costruzione comporta
un'equazione di terzo grado della forma
.
Di fatto, qualsiasi equazione di terzo o di quarto grado è
risolvibile per mezzo di trisezioni di angoli e mediante l'inserzione di
due medie geometriche tra due grandezze.
Si delinea qui un fatto molto importante :
l'associazione della nuova algebra superiore con l'antica geometria
superiore.
La geometria analitica era ormai vicina. In più occasioni
Cartesio ha insistito sulle differenze tra la sua Geometria
e l’Algebra di Viète, e sul fatto che egli comincia
dove Viète si è fermato.
Il nodo vero, per noi contemporanei, è invece proprio quello
di capire sino in fondo il senso della continuità tra il “fondatore
dell’algebra moderna”, Viète , e il “padre della moderna geometria”,
Cartesio.
|
|