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Gli ultimi giorni del XVI secolo:
la morte di Giordano Bruno.
ricerca condotta
dalle alunne
Celotti Anna , Ambrosone Germana ,
Saporito Laura , Sorice Paola
coordinate dal docente
Antonio Mastantuoni
Celotti Anna |
Ambrosone
Germana |
Sorice Paola |
Saporito Laura |
21_GIORDANO_BRUNO.pdf
Gli ultimi giorni del XVI secolo: la
morte di Giordano Bruno.
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La seconda metà del XVI secolo
rappresentò un periodo emblematico, una vera e propria “catastrofe
epocale”, in quanto si verificò l’inizio dell’inabissarsi di un mondo e
il contrastato emergere di un altro.
Questo complesso rivolgimento portò al
definitivo declino della concezione aristotelico-scolastica e
all’introduzione di aspetti innovativi nell’approccio allo studio del
mondo fisico, in breve, alla nascita della modernità e al palesarsi del
progresso scientifico.
Già durante il Rinascimento era scomparsa
la figura dell’intellettuale medievale, che era “clericus” e “magister”.
I filosofi dell’epoca sono invece caratterizzati da una profonda
arditezza di pensiero e da un vivo bisogno d’azione.
Colui che ripropone il significato di
tutta la cultura del Rinascimento, e di cui costituisce il culmine e il
crepuscolo, è Giordano Bruno.
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Egli nacque nel 1548 a Nola, dove studiò
e ricevette una prima formazione di stampo aristotelico. A 16 anni entrò
in convento, ma per l'ardente temperamento e l'indipendenza
intellettuale, si trovò ben presto in conflitto con le autorità
religiose, che non ammettevano la sua insofferenza alla disciplina e la
discussione dei dogmi. Ciò non gli impedì, però, di fare un rapida
carriera: ordinato sacerdote nel 1572, divenne dottore in teologia nel
1575.
Nel 1576 si allontanò da Napoli,
abbandonando l’abito ecclesiastico, per sfuggire ai rigori
dell’Inquisizione, una spada nelle mani del Papa, come la definisce il
teologo tedesco Drewermann nel suo libro “Giordano Bruno: lo specchio
dell’infinito”1. Fuggì prima a Roma e poi nell’Italia
settentrionale, ma non trovando rifugio sicuro, dove approfondire con
calma le sue nuove idee, peregrinò per le Università d’Europa,
suscitando ovunque contrasti e dispute per gli atteggiamenti
contestatori e l’originalità delle sue concezioni.
Tornò a Venezia nel 1591, su invito del
nobile Mocenigo che, l’anno successivo, imprevedibilmente lo denunciò
per eresia al Sant’Uffizio, “un ubbidiente tentacolo, seppur molto
flessibile”2 dell’Inquisizione, vista dallo stesso Drewermann
come “una piovra con molti tentacoli” con il solo scopo di fissare le
ventose a tutto ciò che intralcia il suo cammino.
A Venezia si sottomise agli inquisitori
nell’illusione di poter stabilire un accordo con la Chiesa senza
abdicare alla sua visione del mondo, ma tale illusione si rivelò vana.
Consegnato quindi all’Inquisizione romana, Bruno fu sottoposto ad un
nuovo, lungo processo che censurò le sue opinioni, imponendogli
l’abiura. Subì sette anni di duro carcere, un lunghissimo processo,
numerosi e interminabili interrogatori e addirittura torture. Nonostante
ciò Bruno rimase coerente con se stesso e fedele alle proprie ragioni,
non accettando mai di rinnegare in blocco le sue idee, anche se
giudicate radicalmente incompatibili con l’ortodossia cristiana.
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Così l’8 febbraio 1600 Giordano Bruno fu
condannato al rogo come “eretico, impenitente e recidivo”3 ed
espulso dalla Chiesa; le sue opere vennero bruciate sulla scalinata di
Piazza S. Pietro e inserite nell’”Indice dei Libri Proibiti”.
All’alba di giovedì 17 febbraio 1600
sette frati di quattro ordini diversi accompagnarono Bruno fino al palco
eretto in Campo dei Fiori. Spogliato, legato al palo, gli fu serrata la
lingua in una mordacchia di legno perché non bestemmiasse. Un frate gli
avvicinò un crocifisso, lui volse il capo. Poi fu appiccato il fuoco, e
il rogo divampò.
Rifiutandosi di rinnegare le proprie
idee, Bruno si dimostra tenace assertore della libertà, da rivendicare
di fronte ad ogni sorta di autorità, tanto scientifica quanto religiosa.
E se rispetto alla prima è pronto a discutere le asserzioni di autorità
quali Platone e Aristotele, rispetto alla seconda è pronto a sacrificare
anche la vita, pur di non ritrattare le posizioni di fondo della sua
filosofia.
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La libera investigazione del Nolano,
l’autonomia e la competenza della ragione e la visione del vero come
prodotto delle attività intellettuali sono evidenti nelle famose parole
pronunciate da lui stesso dopo la lettura dei capi d’accusa, parole che
rappresentano una sorta di testamento: ”È forse maggiore la paura vostra
nel pronunciare la sentenza della mia nel riceverla”.
Il filosofo credette forse che il
sacrificio della vita sarebbe valso ad una maggiore diffusione delle sue
idee, che “la morte in un secolo fa vivo in tutti gli altri!”4.
Bruno non avrebbe potuto ritrattare, non
avrebbe potuto abiurare, come invece avrebbe fatto più tardi Galilei. Lo
dimostra il fatto che davanti all’Inquisizione veneziana la sua
dissimulazione non servì a nulla. Bruno, per certi versi più filosofo
che scienziato, è il portavoce di una verità soggettiva, vissuta oltre
che semplicemente pensata o dimostrata come la matematica.
Il suo pensiero, inoltre, aveva contenuto
prevalentemente religioso. Infatti egli dubitava della Trinità, della
divinità di Cristo, della Transustanziazione, andando così contro
l’ortodossia di una Chiesa che, di fronte a ciò, non poteva restare
indifferente; ma, ancor più egli sostenne l’infinità dell’Universo,
collocando Dio fin dentro gli illimitati spazi e gli infiniti mondi
dell’Universo, contribuendo così ad alimentare l’immagine di un uomo che
sente ed interpreta Dio soprattutto, se non esclusivamente, nella sua
capacità di conoscere questo infinito mondo.
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Bruno fu accusato e condannato dalla
Chiesa perché il suo pensiero si era spinto troppo oltre, invadendo la
sfera religiosa. Tuttavia bisogna ammettere la difficoltà, se non
addirittura l’impossibilità, di “rinchiudere”, data anche la situazione,
simili idee entro confini strettamente scientifici e filosofici senza
che la Chiesa se ne risentisse.
La
Chiesa, dunque, condannò Giordano Bruno al rogo credendo forse che
insieme al suo corpo anche le sue idee divenissero cenere, “ma quel rogo
non smise mai di bruciare nella memoria e nella coscienza di molti”.
Per il suo coraggio, Bruno fu un grande e
questo nessuno potrà mai cambiare.
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Bibliografia
- E. Drewermann,
“Giordano Bruno: lo specchio dell’infinito”, Rizzoli, Milano 1994
- www.cronologia.it
-
“Il
seminario internazionale e interdisciplinare Giordano Bruno e il Rinascimento
quale prospettiva verso la cultura europea senza frontiere”, Università di
Bucarest, Dicembre 2000
-
www.filosofico.net
-
Ciuffi,
Luppi, O’Brien, Vigorelli, Zanette, Dialogos, Mondatori, Torino 2000
-
www.giordanobruno.it
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