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Enrico Fermi: uno scienziato completo
Già a dieci
anni
Enrico Fermi
(era nato a Roma il
settembre
)
aveva uno straordinario interesse per la matematica e soprattutto per la fisica.
Ben presto trovò un fraterno amico in Enrico Persico. Insieme eseguivano, con
mezzi rudimentali, esperimenti di fisica e spesso andavano in cerca, per
bancarelle e rivenditori di libri usati, di trattati di matematica e di fisica.
Nei suoi studi di matematica egli fu guidato nel periodo
da
Un collega del padre, l’ingegnere Adolfo Amidei, ispettore principale delle
ferrovie. Questi, convinto che “Enrico
era veramente un ragazzo prodigioso”,
cominciò a prestargli, secondo un ordine ben predisposto, una serie di testi di
livello universitario di trigonometria, geometria, algebra, meccanica razionale
e ingegneria, che il giovane
Fermi
studiò in modo approfondito nel periodo in cui frequentava il Ginnasio e il
Liceo.
Nel
rapporto di estrema fiducia che si era stabilita tra l’ingegnere Adolfo Amidei
ed Enrico Fermi si discusse quale fosse la strada migliore per la successiva
carriera del brillante e geniale giovane. Le idee di Fermi erano già molto
chiare. Quando Amidei gli chiese se preferiva dedicarsi alla matematica o alla
fisica la risposta fu: “ Ho studiato con passione la matematica perché la
considero necessaria per lo studio della fisica alla quale
esclusivamente
dedicarmi.” A quel punto Amidei chiese al suo giovane amico se aveva in fisica
conoscenze così buone comein matematica.” La risposta fu: “Sono molto più vaste
e, credo, altrettante profonde, perché ho letto tutti i più rinomati libri di
fisica.”
Amidei convinse allora la famiglia a mandare Enrico a Pisa
come allievo delle Ragia Scuola Normale Superiore. La prova scritta del
novembre
per
l’ammissione alla Normale riguardava i “Caratteri
distintivi dei suoni e loro cause”.
Il compito svolto da
Fermi,
basato su quanto studiato nel trattato di meccanica di Poisson, lasciò
sbalorditi i commissari per la profondità della trattazione e per la perfetta
padronanza degli strumenti matematici. Ben presto egli divenne un personaggio di
spicco nell’ateneo pisano; padroneggiava la teoria quantistica dell’atomo,
meglio di ogni altro in Italia, compresi i suoi professori; scherzosamente
scriveva a Persico: “All’Istituto
sto diventando l’autorità più influente, tenendo conferenze sulla teoria dei
quanti, di sono un propagandista.”
Si laureò nel luglio del
con
una tesi sperimentale sulla diffusione dei raggi
.
Subito dopo la laurea si recò a Cottinga in Germania, per una borsa di studio
del Ministero della Pubblica Istruzione che gli permise di proseguire i suoi
studi e di allargare la sua cultura restando per circa sei mesi nell’istituto di
Max Born, proprio nel periodo in cui a Cottinga andavano maturando alcune delle
idee che pochi anni dopo sarebbero sfociate nella meccanica quantistica.
Prima di
recarsi in Germania,
Enrico Fermi
era stato presentato da Persico a Orso Mario Corbino, professore di fisica
sperimentale e direttore dell’Istituto di Fisica dell’università di Roma dove
Persico a quell’epoca era assistente. Corbino, colpito dalla maturità e capacità
di penetrazione che
Fermi
mostrava nella discussione di difficili problemi sia teorici che sperimentali,
si adoperò affinché, al ritorno da Cottinga, la facoltà di scienze
dell’Università di Roma affidasse a
Fermi,
giovanissimo, l’incarico dell’insegnamento del corso di istituzioni di
matematica. Da quel primo incontro fino alla morte di Corbino, avvenuta
prematuramente nel
,
i rapporti fra questi due uomini furono di grande stima reciproca e di amicizia
profonda. Da un lato Corbino ammirava in
Fermi
le qualità dell’ingegno e si rendeva conto, come pochi altri, delle capacità
eccezionali del giovane fisico, dall’altro
Fermi
sentiva l’ascendente di Corbino che si imponeva grazie al suo vivacissimo
ingegno, alle sue qualità di uomo di larghe vedute ed al suo fervido spirito di
ammiratore degli studi di fisica in Italia. Nei bienni
e
Fermi
insegnò, ancora per incarico, fisica matematica e meccanica razionale presso
l’Università di Firenze. Il lavoro più importante di questo periodo è quello
sulla statistica antisimmetrica, come egli la chiamava. La nuova statistica, che
diverrà nota come statistica di
,
fu il maggior contributo teorico di Fermi alla fisica quantistica. Con questa
scoperta Fermi acquistò una notevole fama a livello internazionale. Nel
Corbino
riuscì, grazie anche all’appoggio di G. Castelnuovo, Federico Enriques e Tullio
Levi-Civita, a fare bandire per l’Università di Roma un concorso a cattedra di
Fisica Teorica, il primo in Italia.
Il
novembre
la commissione giudicatrice proclamò Fermi vincitore. Il giudizio della
commissione sull’attività di Fermi fu estremamente lusinghiero: ”Esaminata la
vasta e complessa opera scientifica del professore fermi, la commissione è
unanime nel riconoscerne le qualità eccezionali e nel constatare che egli, pure
in così giovane età, già onora altamente la fisica italiana. Mentre possiede in
modo completo le più sottili risorse della matematica, sa farne un uso sobrio e
discreto, senza mai perdere di vista il problema fisico di cui cerca la
soluzione.
Mentre gli
sono perfettamente familiari i concetti più delicati della fisica classica,
riesce a muoversi con piena padronanza nelle questioni più difficili della
fisica teorica moderna, cosicché egli è oggi: il più preparato e il più degno
per rappresentare il nostro Paese in questo campo di così alta e febbrile
attività scientifica mondiale. La commissione pertanto è unanime nel che
professore
Fermi
è altamente meritevole di coprire la cattedra di fisica teorica messa a concorso
e ritiene di potere fondare su lui le migliori speranze per l’affermazione e lo
sviluppo futuro delle fisica teorica in Italia.”
Nell’autunno del
,
Fermi si trasferì a Roma nell’Istituto di Via Panisperna, dove iniziò il periodo
più fecondo della sua vita scientifica e dove ben presto, grazie al pieno
appoggio di Corbino, creò un gruppo di collaboratori: il primo fu Rasetti, al
quale si aggiunsero Emilio Segrè, Edoardo Amaldi, Bruno Pontecorvo.
Saltuariamente, e solo per quanto riguardava i problemi teorici, partecipava ai
lavori anche Ettore Majorana. Intorno a Fermi per la prima volta venne attuato
un modo nuovo di fare ricerca, la cosiddetta ricerca di gruppo: non più un
professore coadiuvato in posizione subalterna dal suo assistente, ma un gruppo
di più ricercatori aventi pari dignità scientifica.
Fermi
non teneva ai suoi giovani collaboratori lezioni nel senso classico del termine,
ma seminari, spesso nella sua stanza, senza nessun orario o schema prestabilito;
gli argomenti trattati nascevano spontaneamente, spesso da domande dei più
giovani del gruppo, oppure consistevano nei problemi che stava studiando in quel
momento.
Sul
finire del
,
mentre il gruppo procedeva lungo la strada intrapresa,
Fermi
elaborò la teoria del decadimento beta, in assoluto il lavoro teorico più
importante e originale di tutta la sua produzione teorica; esso non era ancora
apparso sulla stampa scientifica, quando giunse a Roma la notizia che i coniugi
,
a Parigi, erano riusciti a produrre la radioattività in alcuni elementi leggeri
sottoponendoli all’azione delle particelle
.
Immediatamente Fermi decise di provare a provocare la radioattività usando come
proiettili i
(scoperti
solo due anni prima da Chadiwick).
Dopo alcuni
tentativi infruttuosi, l’esperienza diede esito positivo e
Fermi
annunciò, nel marzo del
,
la scoperta della radioattività artificiale provocata utilizzando neutroni. Egli
chiese subito l’aiuto di alcuni suoi collaboratori e allievi (Edoardo Amaldi,
Rasetti, Segrè ai quali si erano aggiunti il chimico avellinese Oscar D’Agostino
ed il neolaureato Bruno Pontecorvo) e si accinse a studiare il nuovo fenomeno su
larga scala. In pochi mesi furono prodotti oltre quaranta nuovi corpi
radioattivi; molti furono individuati chimicamente e fu dimostrata la natura del
loro processo di produzione. Per l’insieme di questi lavori sui neutroni gli fu
conferito il premio Nobel per la fisica nel
.
Recatosi a Stoccolma per ricevere il premio,
Fermi
preferì non rientrare in Italia in seguito alla promulgazione delle leggi
antisemitiche e si stabilì ( )
negli
,
prima come professore alla
e
quindi all’ dell’Università
di Chicago, che oggi porta il suo nome. Qui studiò come ottenere la liberazione
controllata di energia nucleare da materiale radioattivo in misura utilizzabile
praticamente. Il risultato fu raggiunto il
dicembre
del
con
l’entrata in funzione del primo reattore nucleare (pila di Fermi), alla cui
realizzazione Fermi contribuì in maniera decisiva. Dal
prese
parte agli studi per la realizzazione della prima bomba atomica, a
.
Successivamente, tornato agli incarichi universitari, svolse ricerche sulla
fisica delle alte energie, propose ( )
una teoria sull’origine della radiazione cosmica ed elaborò matematicamente
l’elettrodinamica quantistica. Fu anche valente didatta ed ottimo divulgatore.
Dopo un
primo viaggio per partecipare al Congresso Internazionale sulla radiazione
cosmica, tenuto a Como nell’estate del
,
Fermi tornò in Italia nell’estate del
per
ottenere un corso (indimenticabile per il contenuto scientifico e la semplicità
formale) sulla fisica dei
alla
scuola estiva di Varenna. Ma la sua salute era già minata; rientrato a Chicago,
veniva sottoposto ad un’operazione esplorativa, che permetteva d’individuare,
ormai troppo tardi, il male che lo consumava. Anche in queste circostanze, a lui
pienamente note, conservò la sua calma serena fino al momento della sua morte,
nella sua abitazione nei pressi dell’Università di Chicago, il
novembre
del
.
Come alcuni pochi grandi
fisici del passato, quali Newton e Maxwell, Fermi ha saputo riunire in sé
competenze e capacità altissime sia nella fisica teorica sia nella fisica
sperimentale, sapendosi muovere di volta in volta dall’una all’altra con estrema
facilità.
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